Senza il reinserimento nel mercato del lavoro i detenuti sono più esposti al rischio di recidiva. Secondo stime del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) soltanto il 34% dei 54mila reclusi italiani è occupato in attività lavorative. Numeri che fanno il paio con quelli contenuti nel diciottesimo rapporto sulle condizioni delle carceri italiane, realizzato dall’associazione Antigone, che dalla fine degli anni Ottanta si occupa dei diritti e delle garanzie del sistema penale del nostro Paese.
Circa 17 mila i detenuti – ossia quasi un detenuto su tre – lavorano per l’amministrazione penitenziaria in attività domestiche. Molti lavorano per poche ore al giorno o pochi giorni al mese in quanto il “budget non consente la piena occupazione e si cerca di distribuire il benefit”, spiega Antigone. I detenuti che lavorano, ma non per l’amministrazione penitenziaria, sono circa 2.300, poco più del 4 per cento sul totale.
Sono infine meno di 5 mila i detenuti iscritti a scuola. Di questi, la metà è iscritta a corsi di primo livello (scuole elementari e medie inferiori) e metà a corsi di secondo livello (superiori). Gli iscritti all’università sono circa 1.200, in gran parte a lauree triennali.
In questo contesto si inserisce l’iniziativa del governo che punta a coinvolgere i detenuti per stendere la fibra nel Paese e superare il digital divide. Attualmente il protocollo è in fase di elaborazione nei ministeri competenti ovvero Giustizia e Trasformazione digitale.
Open Fiber e Sirti hanno hanno già manifestato disponibilità.
“Abbiamo aderito con convinzione a questa intelligente iniziativa promossa dai ministri Cartabia e Colao che partendo da una finalità di natura sociale, può contribuire a tamponare la scarsità di manodopera sui cantieri, una carenza di cui soffre il settore delle telecomunicazioni ma non solo – commenta Open Fiber in una nota – L’impiego di personale detenuto, a cui si sta lavorando sotto la supervisione delle autorità competenti, avverrebbe ovviamente sulla base delle condizioni contrattuali vigenti e, quindi, con il medesimo trattamento economico degli altri lavoratori”.
E Open Fiber e Sirti non sono le uniche aziende a mettersi a disposizione per il reinserimento dei detenuti.
L’iniziativa di Eolo
Eolo e Bee.4 Altre Menti, la prima impresa sociale del carcere che promuove il lavoro come strumento di reintegrazione dopo la detenzione, hanno, ad esempio, hanno lanciato un progetto pilota di digitalizzazione e inclusione sociale nel carcere di Bollate a Milano. La società benefit ha stipulato un contratto biennale che da settembre ha coinvolto 8 detenuti nell’ambito dei servizi di welcome call e controllo qualità.
L’iniziativa, che ha ricevuto feedback molto positivi anche da parte degli utenti Eolo, ha visto la partecipazione in prima linea di 6 dipendenti della società di telecomunicazioni che hanno condotto l’attività di formazione in presenza, seguita successivamente da un’assistenza continuativa via call, dedicata ai servizi di customer operation, in particolar modo legati alla customer experience, e alla gestione del programma di welcome call, che consiste nell’accogliere i nuovi clienti e informarli sull’operato degli installatori.
Sostenere un programma di formazione specialistica finalizzata al trasferimento delle competenze tecniche necessarie a realizzare la rigenerazione degli apparati terminali di rete installati presso le case degli utenti e assumere le detenute che hanno ottenuto l’attestato di fine corso.
Il progetto di Linkem
Sostenere un programma di formazione specialistica finalizzata al trasferimento delle competenze tecniche necessarie a realizzare la rigenerazione degli apparati terminali di rete installati presso le case degli utenti e assumere le detenute che hanno ottenuto l’attestato di fine corso.
Sono questi gli obiettivi del “Laboratorio Rework – Il valore della formazione e del lavoro in carcere”, lanciato dalla Casa Circondariale Femminile di Roma Rebibbia “Germana Stefanini” con Linkem.
Il progetto “Laboratorio Rework” è stato articolato in due fasi: nella prima fase Linkem ha avviato grazie ai propri addetti un programma di formazione, al cui termine sono stati rilasciati gli attestati con la qualifica di “addetto alla rigenerazione di apparati elettronici Linkem” e la possibilità di sottoscrivere un contratto di lavoro con Linkem.
Il progetto segue l’esperienza maturata dalla Società nella Casa Circondariale di Lecce, dove Linkem ha già assunto 10 detenuti nella sezione maschile e realizzato il progetto di trasformazione digitale UNiO, il sistema di video colloqui con i familiari che consente ai detenuti di usufruire di postazioni dedicate e progettate ad hoc. L’evento odierno è stata l’occasione per illustrare e promuovere le finalità e i risultati dei progetti realizzati con il contributo delle due case circondariali, soprattutto attraverso la testimonianza dei protagonisti.