L'ANALISI

Banda ultralarga, il piano è da rifare: nelle città il 20% delle abitazioni senza reti veloci

Ma la normativa sugli aiuti di Stato complica l’accesso ai fondi pubblici. Una riforma del servizio universale potrebbe spianare la strada. Ma bisognerà anche ribaltare l’ordine dei fattori nel Recovery Plan: il digitale va considerato l’asse portante, alla base anche della transizione green. E non bisogna “disperdere” le deleghe

Pubblicato il 15 Feb 2021

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Colmare i gap, enormi, nelle grandi città e intervenire nelle aree periferiche urbane. Queste due delle priorità emerse in occasione del webinar “Next Digital Generation EU – Connettività e 5G per la ripresa” organizzato dal Partito Democratico. La banda ultralarga in Italia ha fatto progressi, ma non basta. E sono rimaste a digiuno enormi porzioni di territorio, anche nelle cosiddette aree nere, quelle dove è forte la competizione dfra gli operatori di Tlc. Secondo stime del professor Maurizio Dècina nelle città il 20% delle unità immobiliari non è raggiunto da copertura Vhcn, alias da reti a banda ultralarga. E si sale al 50% nelle aree grigie, quelle che saranno oggetto del secondo bando pubblico Infratel.

Insomma un Paese “groviera”, l’Italia, sul fronte dell’infrastrutturazione. E in quanto a 5G siamo ancora all’anno zero, con una copertura a livello nazionale che si attesta attorno al 10%. I 4,2 miliardi messi neri su bianco nel Recovery Plan del governo Conte, che scendono a 3,3 al netto delle risorse già allocate fino a ridursi a 1,1 al netto di quelle per le comunicazioni satellitari e ai fondi regionali, non sono dunque sufficienti. Lo ha già ampiamente segnalato Asstel che ha quantificato in 10 miliardi di euro l’ammontare necessario a dotare il Paese di infrastrutture adeguate. Per colmare i gap nelle sole aree grigie e nere, ha puntualizzato il professor Dècina, sarebbero necessari circa 4 miliardi. E poi bisognerà andare a rivedere le necessità e le esigenze nelle aree bianche.

Dunque stando le cose così è evidente la necessità rimettere manco al Recovery Plan, e bisognerà rimettercele anche da un punto di vista degli obiettivi temporali e funzionali. Secondo l’ex commissario Agcom Antonio Nicita manca un cronoprogramma dei singoli progetti ma anche consapevolezza sul ruolo fondante del digitale. E sulla base delle priorità bisognerà ragionare anche sulle norme, ipotizzando la revisione del concetto di aree a fallimento di mercato nonché la riforma del servizio universale legandola agli aiuti di stato in ottica di inclusione. Per non parlare poi degli incentivi alla migrazione dal rame alla fibra anche laddove le reti ci sono ma restano “silenti”.  E di una riconsiderazione del territorio tenendo conto delle aree in cui si potrà partire subito con servizi innovativi 5G e di quelle che potranno far leva sul “riuso” delle best practice, tenendo conto della domanda locale e anche dei livelli di innovazione. La deputata del Pd Enza Bruno Bossio ha inoltre ricordato la proposta di un superbonus al 110% per la cablatura dei verticali negli edifici poi non andata a buon fine ma su cui invece sarebbe bene tornare per spingere la diffusone di fibra nel Paese.

Da rivedere anche la questione della governance: secondo Gian Paolo Manzella il sottosegretario al Mise (governo Conte) con delega a “metà” – era lui a occuparsi di banda ultralarga fissa e Mirella Liuzzi del 5G – “una maggiore concentrazione di competenze sull’infrastruttura strategica ci vuole, ossia serve un soggetto che dia impulso e che dialoghi e tenga le fila con le amministrazioni, gli operatori e anche i regolatori. Dalla mia esperienza in questo anno il valore aggiunto è nel confronto con chi poi concretamente è chiamato a mettere a terra le attività. Quindi una riflessione andrà fatta”.

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