“Se l’incumbent controllerà la nuova struttura non solo ci sarà una forte inversione a U ma si tornerà parecchio indietro“. Questo il virgolettato attribuito dalle principali agenzie di stampa italiane al Presidente dell’Agcom Angelo Marcello Cardani interpellato a margine di un convegno. E ce n’è anche un secondo: L’operazione “prima di essere decisa e completata richiederà qualche tempo”.
Ma subito dopo i lanci delle agenzie l’Agcom ha diffuso una nota di “smentita”: “In merito ad alcune notizie di agenzia relative alla rete unica, il Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Angelo Marcello Cardani, tiene a precisare che non si riferiva ad una operazione specifica, non avendo l’Autorità alcuna informazione in proposito”. E la nota aggiunge che “in linea generale, per il Presidente dell’Agcom, una operazione di concentrazione e ritorno al monopolio implica la perdita dei benefici concorrenziali“.
E’ evidente però che quando si parla di rete unica il riferimento va implicitamente a quella che dovrebbe nascere dall’integrazione degli asset di Tim e Open Fiber. Non ci sono altri “dossier” aperti su questo fronte a meno che Cardani non si riferisse alle “convergenze” fra Tim e Vodafone da un lato e Wind Tre e Fastweb dall’altro in tema di risorse 5G. Ma è evidentemente un’altra storia. Al di là delle precisazioni, la sostanza – in particolare quella che attiene alle questioni regolatorie – dunque non cambia.
Il primo nodo da sciogliere sul fronte del dossier Tim-Open Fiber è quello della “proprietà” e quindi del controllo della nuova entità. La questione del controllo è dirimente sul fronte delle “agevolazioni” regolatorie disposte dal nuovo Codice europeo delle Comunicazioni elettroniche che prevede tariffe di accesso favorevoli solo nel caso degli operatori non verticalmente integrati, ossia solo per gli operatori full wholesale come ad esempio Open Fiber. E anche Agcom si è mossa in questa direzione con le nuove misure mirate ad agevolare la realizzazione delle reti ultrabroadband frutto dell’analisi di mercato sull’accesso alla rete fissa che ieri è stata definitivamente approvata dal Consiglio dopo l’ok della Commissione europea.
Un nodo che bisognerà inevitabilmente sciogliere nel caso di fusione e successivo scorporo dell’infrastruttura. Il progetto è molto complicato da un punto di vista sia degli equilibri finanziari sia della gestione degli asset di rete. A metà giugno, dall’accordo di confidenzialità a tre (Tim-Enel-Cdp) è emerso intanto un chiaro perimetro d’azione: si parla esclusivamente di reti in fibra, nessun riferimento al rame che peraltro non si capisce che fine farebbe nell’ambito del progetto. L’accordo – si legge in una nota mira ad “avviare un confronto finalizzato a valutare possibili forme di integrazione delle reti in fibra ottica di Tim e Open Fiber, anche attraverso operazioni societarie”.
Ancora tutto da definire il valore degli asset di Open Fiber: anche se la forchetta plausibile è quella che oscilla fra i 2 e i 3 miliardi, un miliardo di differenza non è cosa da poco. E dunque bisognerà mettersi d’accordo prima sul valore, sulle quote azionarie, sulla governance e sulla proprietà, non banale aspetto della partita come evidenziato da Cardani.