L'ANALISI

Rete unica Tim-Open Fiber, modello Terna con successiva quotazione?

L’eventuale rinuncia al controllo della rete cambierebbe completamente le carte in tavola del progetto AccessCo. In attesa di capire le mosse di Vivendi resta da sciogliere il nodo Cdp. E spunta un nuovo rumor: il fondo Kkr sarebbe intenzionato ad aumentare il proprio peso. Ma Tim precisa: “In questo momento non è prevista una riduzione della quota in Fibercop”. Intanto a Piazza Affari il titolo balza di quasi il 7%

Pubblicato il 05 Nov 2021

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Tim sarebbe disposta a rinunciare al controllo della rete nell’operazione AccessCo, la newco che dovrebbe nascere dall’integrazione degli asset di Fibercop (la wholesale company di Tim, Kkr e Fastweb) con quelli di Open Fiber. Questa l’indiscrezione di stampa circolata ieri che nonostante la precisazione di Tim – “non è stata presa alcuna decisione a livello di cda” – ha fatto balzare il titolo fino alla soglia del 6% in recupero dopo il crollo dei giorni scorsi a seguito dell’annuncio, da parte della stessa telco, di un nuovo piano di riorganizzazione con tanto di aggiustamento della guidance. Un piano che avrebbe fatto balzare sulla sedia l’azionista di maggioranza Vivendi al punto da sortire la richiesta di un cda straordinario fissato il prossimo 11 novembre.

I francesi vogliono capire cosa stia succedendo, ma non è solo la riorganizzazione la questione sul tavolo: il dossier scottante è quello della rete unica di Tlc, che si è oramai impantanato da mesi nonostante l’uscita di scena di Enel dall’azionariato di Open Fiber avesse fatto sperare in un’accelerazione del progetto. La posizione dei francesi, in quota con il 23,75%, è fondamentale per il destino dell’azienda. Ma non meno importante è quella di Cassa depositi e prestiti al momento in quota con il 9,81%. E soprattutto è fondamentale il ruolo che la Cassa, – che vanta il 50% di Open Fiber e si prepara a salire al 60% per effetto del passaggio di consegne di Enel al fondo australiano Macquaire (al 40%) – avrà nella newco AccessCo.

Intanto stando a indiscrezioni di stampa dell’ultim’ora il fondo Kkr starebbe puntando a rafforzare il proprio investimento nella rete Tim. Ma un portavoce di Tim ha prontamente puntualizzato che “in questo momento l’azienda non prevede una riduzione della quota in Fibercop”. Intanto a Piazza Affari il titolo Telecom  balza di quasi il 7%.

Il piano si sta modificando nella sua sostanza? La rete primaria di Tim confluirà nella newco AccessCo oppure si sta ragionando su un’operazione diversa che porta in dote solo quella secondaria lasciando a Tim il backbone e la primaria?

Se così fosse è evidente che le carte in tavola cambierebbero e non poco: Tim potrebbe sì rinunciare alla proprietà e sarebbe Cdp il deus ex machina su tutti i fronti, proprietà e governance.  Tim non ha (finora) mai mollato sulla questione della quota di maggioranza, ossia sulla proprietà della rete, quindi l’eventuale decisione non può che essere frutto di un piano B. Anche perché di mezzo c’è anche il rischio che l’Antitrust Ue non dia il via libera all’operazione AccessCo se si prefigurasse un ostacolo alla concorrenza anche solo sulla carta, dovuto alla questione della proprietà in capo a un operatore infrastrutturato.

La notizia di una possibile rinuncia e quindi di un passo indietro non può che fare scalpore. Ed è evidente che scatena tutta una serie di interrogativi: se la maggioranza della rete non sarà in capo a Tim chi deterrà lo scettro? Cassa depositi e prestiti? Si sta dunque configurando una proprietà e una guida di Stato?

Il valore del titolo Tim è ormai da tempo sotto una soglia “inaccettabile” per un’azienda che è fra le più grandi in Italia e che ha in capo l’infrastruttura più importante, quella di telecomunicazioni, infrastruttura fondamentale anche e soprattutto per mandare avanti la digitalizzazione del Paese su cui fa perno il Pnrr. È evidente dunque che vada trovata una soluzione sul dossier rete unica: il Paese non può più permettersi, e men che meno in questo momento, una situazione di instabilità ed eventuali riassetti (anche di management) in seno ad un’azienda che seppur privata è di fatto un’azienda “nazionale”. Gli interessi degli azionisti privati, interessi finanziari, non possono e non devono prevalere. E lo Stato ha il dovere di capire dove si voglia andare a parare. Ma ha anche il dovere di definire la propria posizione chiarendo una volta per tutte il ruolo di Cassa depositi e prestiti nella partita delle reti. Si sta facendo di nuovo strada il modello Terna (Cdp Reti detiene il controllo con il 29,85%) caldeggiato in passato? Ossia un modello di azionariato in cui il principale azionista e “garante” diventa Cdp? Un modello in cui la remunerazione arriverà dalla successiva quotazione?

Un’osservazione va fatta inoltre anche sulle misure messe nero su bianco nel Decreto Concorrenza: siamo sicuri che l’obbligo di cooperazione e co-investimento sia la strada giusta per semplificare iter e roadmap dei cantieri? O aggiungerà ulteriore burocrazia considerato che le telco dovranno mettersi d’accordo su qualsiasi scavo?

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