L'INTERVISTA

Rete unica Tlc, si apre il fronte sindacale: “Non staremo a guardare, si rischia un’Alitalia 2”

Il Segretario generale della Uilcom, Salvo Ugliarolo: “Il Governo chiarisca sull’ipotesi di piano B. In ballo ci sono 20mila lavoratori. La politica non può continuamente sparigliare le carte. Tavolo urgente per capire cosa si intenda fare”

Pubblicato il 24 Mar 2021

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La rete unica non s’ha da fare? E allora il governo chiarisca l’ipotesi di piano B. Questo, in sintesi, l’appello al nuovo esecutivo di Salvo Ugliarolo, segretario generale della Uilcom. “Le dichiarazioni dei ministri Giorgetti e Colao sono ambigue: da un lato si dice che bisogna accelerare sulla rete unica e dall’altro si evidenziano problemi che appaiono insormontabili paventando un piano B di cui non si comprende il perimetro e la sostanza”, dice Ugliarolo a CorCom. “Qui si rischia di tornare al punto di partenza, di mandare all’aria quanto fatto in questi anni con difficoltà senza peraltro avere un’alternativa valida. Siamo fermi al lavoro di agosto scorso rispetto ad una convergenza tra Tim, Open Fiber e Cassa Depositi e Prestiti”.

Ugliarolo, quali sono le principali difficoltà che intravede sul cammino?

Ce ne sono diversi, ma il vero nodo è quello del tempo e non è banale. Tim sta andando avanti con Fibercop e ha un suo piano per accelerare l’infrastrutturazione. E l’interlocuzione con il precedente Governo sul piano AccessCo, che prevede l’integrazione degli asset di Fibercop e Open Fiber, era in fase avanzata. Tant’è che Enel, azionista al 50% di Open Fiber, ha dato l’ok alla proposta di acquisizione della propria quota al fondo australiano Macquaire. Ma quel disco verde è stato dato sulla base, evidentemente, di un progetto futuro, quello della rete unica. Il fondo australiano certamente non investe per fare beneficienza e vorrà delle garanzie. Garanzie da parte dello Stato visto che Cassa depositi è l’altro azionista di Open Fiber. Cosa succede se non si fa la rete unica? Quali garanzie di sostenibilità chiederanno gli australiani allo Stato? Qui si rischia di pagare un prezzo altissimo.

E sul fronte occupazionale?

Seguire logiche di “espropriazione” della rete apre a un’inevitabile domanda: ad oggi i dipendenti Tim sono circa 40mila di cui 16-18mila impegnati sulla rete. Che fine farebbero gli altri 20mila a seguito di uno scorporo “forzato” dell’infrastruttura? L’azienda peraltro non ha alcuna intenzione di cedere il proprio asset strategico. Ed è giusto che sia così. Nessuna azienda si priverebbe del proprio core business. Peraltro finalmente si è trovata una certa stabilità dopo 6 amministratori delegati negli ultimi 10 anni. Gubitosi ha un piano strategico importante, ha riorganizzato la squadra e sta portando avanti una strategia votata alla crescita e al futuro. A meno di colpi di scena sarà riconfermato alla guida dell’azienda per il prossimo triennio. Dunque proprio ora che si è data stabilità si vuole tornare al caos?

E se a bocciare il progetto Tim-Cdp fosse l’Antitrust Ue?

Tim andrebbe avanti comunque sulla sua strada: l’azienda ha un suo piano di infrastrutturazione, anche con FiberCop. Dunque nessun problema su questo fronte. Il problema si creerebbe se il governo a gamba tesa proponesse soluzioni che potrebbero danneggiare la sostenibilità. Si sta ancora pagando il prezzo della privatizzazione fatta 20 anni fa, tutti a fare ammenda su quanto fatto con i famosi “capitani coraggiosi” di Colaninno – voluto da una certa politica di allora. Non si può continuare a infierire su una delle principali aziende d’Italia. Dopo anni per cercare di rimetterla in sesto di nuovo siamo al punto di partenza?

Come sindacato cosa intendete fare?

Il nostro obiettivo è tutelare la forza lavoro facendo leva sui progetti che meglio possono garantire stabilità e futuro. E il tema riguarda anche Open Fiber: l’azienda ha circa 1000 dipendenti, un numero non paragonabile a quelli di Tim, ma qui c’è in ballo il futuro anche di una piccola azienda che comunque dovrà avere certezze di continuità operativa a cominciare dal personale. Sappiamo tutti che il Piano Bul è stata una follia dall’inizio per come impostato e che non sarebbe stato possibile realizzare in 3 anni una rete così ampia e con risorse al ribasso. È tempo di sanare la situazione.

Siamo pronti, come parti sociali a fare la nostra parte nell’interesse del Paese, garantendo una rete funzionale in tutto il territorio, oggi ci possono essere le condizioni per fare ciò che non si è fatto in 20 anni a causa di una non capacità, da parte della politica di progettare un modello di paese – certamente però, non siamo disposti ad assistere a scelte sbagliate che rischiano di non raggiungere lo scopo ed in più generare rischi sulla tenuta occupazionale.

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