La notizia è nascosta fra le righe. E neanche tanto. Eppure in pochi se ne sono accorti. E non è una notizia da poco. La nota emessa ieri sera da Tim (a cui ha fatto seguito una conferma da parte di Enel) in cui è stata messa nera su bianco la sottoscrizione di un accordo di confidenzialità fra Tim, Cassa Depositi e Prestiti ed Enel per “avviare un confronto finalizzato a valutare possibili forme di integrazione delle reti in fibra ottica di Tim e Open Fiber, anche attraverso operazioni societarie”, non vuole solo mettere fine “al susseguirsi di indiscrezioni sugli organi di stampa” – così inizia la nota – né vuole comunicare meramente lo stato di avanzamento dei lavori sul “dossier” Tim-Open Fiber di cui si discute da mesi.
È nel passaggio “forme di integrazione delle reti in fibra ottica” che sta la quadra: non c’è più – o non ci sarebbe a giudicare dalla nota – in ballo lo scorporo della rete Tim, ossia di tutta la rete. Il cerchio dell’operazione si sta stringendo sulla fibra. L’obiettivo del confronto – si legge sempre sulla nota – “è di verificare la fattibilità dell’operazione, le relative modalità ed il perimetro di attività oggetto di un possibile accordo, in funzione della volontà delle parti e del quadro normativo e regolatorio di riferimento”.
Il perimetro dunque è la fibra, a partire da quella della newco Flash Fiber (che vede in campo Tim e Fastweb) che entra dunque “inevitabilmente” all’interno del dossier. Uno più uno fa due.
Mettere a fattor comune “solo” la fibra è una mossa che evidenzia precise ragioni: è sulla fibra che si concentra la nuova regolazione europea in termini di “benefici” sulle tariffe e le modalità di accesso wholesale. È sulla fibra che si decurtano le tariffe Agcom per favorire la migrazione dal rame. È sulla fibra che fa leva tutto il piano di Open Fiber, a partire da quello nelle aree bianche a seguito dell’aggiudicazione delle gare pubbliche, nodo da sciogliere sul fronte di chi sarà il nuovo “proprietario” dell’infrastruttura di rete per non creare squilibri di mercato e non “favorire” eventualmente soggetti non aggiudicatari (Tim ca va sans dire).
Se è vero dunque che il cerchio si sta stringendo e che ci si sta velocemente allontanando da quegli “accordi commerciali” – pur al momento ancora in ballo – su cui si erano accesi i riflettori del tavolo Tim-Open Fiber della prima ora, è vero anche che la partita non sarà semplice. I passaggi di consegne (scambi di azioni societarie fra Tim e Cdp) e il ruolo degli azionisti (Vivendi ed Elliott) dovranno essere risolti prima ancora di capire se l’operazione è finalizzata a una newco “terza” da creare a seguito dei nuovi equilibri e ai nuovi pesi. Insomma il tema degli “accrocchi societari” su cui siè spesso espresso il numero uno di Enel Francesco Starace, resta sul tavolo.
E bisognerà anche capire che fine farà il rame di Tim. Nonché quanto valgono gli asset di Open Fiber: anche se la forchetta plausibile è quella che oscilla fra i 2 e i 3 miliardi, un miliardo di differenza fa la differenza. E dunque bisognerà mettersi d’accordo prima sul valore, sulle quote azionarie e sulla governance, ultimo ma non banale aspetto della partita.