Le dimissioni

Bernabè: “Ho lasciato perché non volevo la paralisi”

Una lettera ai dipendenti. “Sempre perseguito l’interesse del’azienda. Bisogna ricapitalizzare:non mi hanno ascoltato. Meglio un mio passo indietro che arrivare a una spaccatura. Istituzioni disattente a un patrimonio nazionale”

Pubblicato il 04 Ott 2013

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“In questa fase critica per il futuro di Telecom, una spaccatura in seno al consiglio di amministrazione sulla strada da intraprendere avrebbe determinato una paralisi dell’azienda e l’impossibilità di giungere a una soluzione condivisa. È per questo motivo che ho deciso di fare un passo indietro, non senza aver rappresentato al Cda la necessità di dotare la società dei mezzi finanziari necessari a sostenere una strategia di rilancio”.
Le motivazioni della sua scelta di lasciare la guida di Telecom Italia Franco Bernabè le ha affidate ad una lettera inviata ai dipendenti del gruppo. Da essa emergono le divergenze di prospettive tra l’ex presidente esecutivo e gli azionisti di Telco, in particolare su come affrontare la pesantissima questione dell’indebitamento di Telecom Italia. A partire da una iniezione di capitali freschi, chiesta sin dal 2007 al suo arrivo in Telecom Italia e sempre negata dagli azionisti di controllo.
“Le due alternative possibili, quella dell’aumento di capitale riservato a un nuovo socio e quella di un aumento di capitale aperto al mercato, non hanno trovato il necessario supporto dei soci riuniti in Telco che hanno deciso di avviare il percorso annunciato di recente che porterà Telefonica ad acquisire il controllo di Telco”, spiega Bernabè.
Il manager difende il proprio operato e la propria linea volta a difendere “gli interessi dell’azienda”, anche a costo di rimanere isolato: “Voi tutti sapete che non mi sono mai tirato indietro di fronte all’inevitabilità di un confronto, anche aspro . scrive Bernabè ai dipendenti – nemmeno quando le probabilità di successo erano limitate, se questo era necessario a difendere gli interessi dell’azienda”.
Il cammino di riduzione del debito intrapreso “con coerenza” dal 2008 era però tutto in salita, aggravato dalla crisi economica che lo ha reso ancora più difficile. Nonostante questo “in sei anni abbiamo investito circa 30 miliardi di euro di cui 19 in Italia”.,
Tuttavia, non hanno aiutato in questo duplice impegno fatto di riduzione del debito e di promozione degli investimenti, osserva Bernabè, l’emergere della crisi economica ma anche il fatto che “non c’è stata sufficiente attenzione da parte delle istituzioni per la salvaguardia di un patrimonio che è, prima di tutto, un patrimonio della collettività”.

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