“Nel caso dell'Argentina ci sono state effettivamente delle
pressioni per la cessione della quota di proprietà Telecom. La
vicenda è stata effettivamente strana”. È uno dei passaggi del
verbale di audizione del primo ottobre scorso, data in cui venne
ascoltato, in qualità di teste, l'amministratore delegato di
Telecom Italia, Franco Bernabè, dal procuratore aggiunto di Roma,
Giancarlo Capaldo.
Il numero uno di Telecom venne convocato a piazzale Clodio come
persona informata sui fatti in relazione all'indagine sul
maxi-riciclaggio di 2 miliardi di euro tramite truffe
telefoniche.
“Quando sono arrivato in azienda – ha dichiarato Bernabè, che è
Ad di Telecom dal 2007 – mi sono trovato davanti ad un contratto
che prevedeva una call, una opzione di acquisto, che ci consentiva
di ottenere la maggioranza della società (Telecom Argentina ndr).
Alla fine del 2007, verificata la convenienza dell'operazione,
chiedo di esercitare l'opzione ed acquisire la maggioranza. A
quel punto succede il finimondo e su sollecitazione del partner
argentino, la famiglia Wertheim, viene attivato un contenzioso in
cui il governo argentino, tramite la sua autorità antitrust,
impone di vendere la partecipazione in quanto Telecom Italia è
partecipata da Telefonica, anch'essa presente sul mercato
argentino”.
Nel proseguire con la ricostruzione Bernabè spiega: "Da parte
nostra contestiamo le determinazioni dell'autorità
amministrativa rivolgendoci alla magistratura argentina che ci dà
ragione in più giudizi. La situazione si conclude con una
sostanziale rinegoziazione della call che ci permetterà di
consolidare Telecom Argentina. In tutto il periodo in cui si è
svolta la vicenda, comunque, abbiamo ricevuto pressioni per cedere
la partecipazione, in particolare al gruppo Eurnekian-Gutierrez. Vi
erano altri gruppi interessati, tra i quali ricordo il gruppo
Clarin”.
Su questa vicenda la Procura capitolina ha aperto un fascicolo, al
momento senza indagati né ipotesi di reato.