“La banda ultra larga è una priorità per il Paese, non può
più aspettare. La prima mossa la devono fare i privati e se
Telecom Italia, che sul progetto sta investendo poco, non ha le
risorse per farcela da sola, allora le converrà consorziarsi con
gli operatori alternativi. Gli operatori hanno visioni differenti?
Si confrontino: il luogo deputato è il comitato Ngn”. E’
quanto dichiara Corrado Calabrò intervistato da Daniele Lepido e
Antonella Olivieri del Sole 24 Ore. Il presidente dell’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni rilancia la necessità di
impiegare risorse finanziarie nella costruzione di una nuova rete
che funzioni da infrastruttura per l’Italia. “Nel mondo si
investe in fibra e tanto”, non solo in Occidente, ma anche nei
Paesi emergenti, dove ci si collega a velocità di 50 megabit e
oltre, nota Calabrò. “All’estero questa non è ritenuta una
scelta avventuristica. Anzi, l’investimento in fibra è
considerato a prova di futuro, a maggior ragione nella fase di
crisi che attraversiamo. Anche la presidente di Confindustria, Emma
Marcegaglia, l’ha rilevato, constatando che le imprese collegate
con la più alta velocità trasmissiva hanno saputo resistere
meglio alla crisi”.
Di qui la necessità di “una società ad hoc per la rete
ultra-veloce, una ‘struttura portante’ capace di dare una
spinta propulsiva all’ammodernamento del Paese, come lo era stata
l’Autostrada del Sole negli anni ’60”, un “consorzio di
operatori privati e pubblici”. Secondo Calabrò, il progetto
comincia a raccogliere “una maturazione di convincimenti”:
nessuno è contrario, qualcuno è addirittura “impaziente”,
come la Cassa depositi e profitti. E un ruolo potrebbero averlo
anche le Poste che, aggiunge Calabrò, “a quanto mi risulta, non
si tirerebbero indietro”. “Il modello di riferimento per la
realizzazione delle reti di nuova generazione può essere quello di
una società-veicolo che finanzi il progetto”, secondo il
presidente Agcom. “Una volta completato l’allacciamento in
fibra i partner manterrebbero piena autonomia nel loro core
business”. Un ruolo “insostituibile” spetta al settore
privato, dagli operatori tlc ai fondi. Quanto al settore pubblico,
purché non distorca la concorrenza, “può investire in ottica di
medio-lungo periodo, specialmente nelle cosiddette ‘zone
bianche’ a fallimento di mercato”. C’è spazio anche per gli
enti locali e le Regioni, ma solo se si riesce a evitare il rischio
“di fare spezzatino anziché sistema”. “L’Autorità, da
parte sua, può favorire questo grande progetto con una
regolamentazione innovativa, che sia pro-concorrenza e al tempo
stesso sappia incoraggiare gli investimenti, riconoscendo un premio
per il rischio”, afferma Calabrò. Importante guardare al modello
di altri Paesi europei ma soprattutto degli Stati Uniti, “dove il
presidente Obama ha avviato un piano per lo sviluppo del broadband
che ha già messo in campo risorse apprezzabili: 7,2 miliardi di
dollari per la promozione di infrastrutture a larga banda e servizi
digitali; 19 miliardi per l’informatizzazione della rete dei
medici e lo sviluppo dell’e-health; 5 miliardi di dollari per
fornire alle scuole pc e connessioni a larga banda. In questo
contesto un ruolo cruciale è svolto dal regolatore, l’Fcc.
Vorrei ricordare”, continua Calabrò, “che l’Agcom ha già
avviato un progetto di ricerca (Isbul) che nei prossimi mesi
dovrebbe fornire un importante contributo alla comprensione dello
stato dell’arte della larga banda in Italia”. Ma è possibile
“realizzare una rete in fibra ottica senza partire
dall’esistente, senza la rete di Telecom Italia?”, chiedono
Lepido e Olivieri. “Ho una mia idea, ma non voglio entrare troppo
nel merito”, risponde Calabrò. “L’Autorità è aperta e
laica rispetto a tutte le soluzioni. A me importa solo che la rete
si faccia. Certo, l’ideale sarebbe fornire a tutti una velocità
di navigazione di 50 mega e oltre. Ma una cosa è il progetto
ottimale e un’altra il progetto fattibile. Gli operatori sono
interessati solo alle ‘zone nere’, quelle economicamente
profittevoli”. “Il 50% della capacità di banda larga già
esistente è però inutilizzata, sostiene l’incumbent.
E se la domanda non c’è, il privato non è motivato a
investire”, obiettano i due giornalisti del Sole. “A oggi è
chiaro che la domanda non c’è e tuttavia è oggi che dobbiamo
investire”, risponde Calabrò. “L’Italia vanta già tanti
progetti d’avanguardia lasciati a metà: abortire anche questo
significherebbe condannarsi al regresso”. “Abbiamo una rete in
rame che è stata la migliore del mondo, ma il tempo è passato”,
continua il presidente Agcom. “Nei momenti di congestione, anche
dove è promessa una velocità di 20 megabit, non si arriva a 7.
Oltretutto anche le frequenze mobili sono sovraffollate. La fibra
ottica risolverebbe tutti questi problemi”. Calabrò respinge poi
le critiche a Open Access, facendo notare che “la quota di
mercato di Telecom Italia è scesa al 75,6% a giugno 2009, con un
calo di 18 punti in 4 anni”.
Gli operatori alternativi devono solo avere pazienza: “gli
impegni non sono ‘tutto e subito’. Abbiamo creato e testeremo
un modello nuovo per dimostrare come la rete, anche di un solo
operatore, possa servire a tutti in condizioni di equivalenza.
Inoltre, in anticipo su sutti gli altri Paesi – e persino su
Ofcom – è previsto che la regolamentazione pro-concorrenziale
così configurata si proietti anche verso l’infrastrutturazione e
la gestione di reti di nuova generazione. Non mi sembra un
dettaglio trascurabile”. Calabrò risponde anche alle critiche
sulle tariffe telefoniche: “Sono scese del 25% in dieci anni.
Dinamica unica. Nessun settore è nemmeno lontanamente
paragonabile”.