Nell’ultimo triennio sono stati tremila i posti di lavoro persi in Calabria nel settore dei call center. Lo riferisce Daniele Carchidi, segretario generale dell’Slc-Cgil Calabria. Il settore occupa nella regione 15 mila persone, soltanto 5 mila delle quali, però, hanno contratti a tempo indeterminato. Dei 15 mila addetti, inoltre, diecimila lavorano per aziende di dimensioni considerevoli, mentre gli altri operano per piccole o addirittura piccolissime realtà imprenditoriali.
“E nei prossimi tempi – si legge in un comunicato del sindacato – la situazione potrebbe essere ancor più drammatica se non si interviene tempestivamente nella regolamentazione dei cambi di appalto. Oggi per l’assenza di regole tutto il settore rischia la tenuta occupazionale. Un comparto che nella sola Calabria contribuisce all’ economia reale della regione con la redistribuzione di oltre 500 milioni di euro. Ecco perché il 21 novembre le segreterie nazionali del settore hanno proclamato uno sciopero nazionale, con contestuale manifestazione a Roma e notte bianca dei call center”.
Secondo Daniele Carchidi, “nella maggioranza dei casi, le tragedie occupazionali che hanno investito il settore sarebbero state facilmente evitabili se l’Italia avesse recepito una norma di civiltà che è quella rappresentata dalla direttiva Europea 2001/20/CE. Il mancato recepimento di questa normativa ha favorito un incontrollato arbitrio e ed una diffusa corruzione che impedisce, nei fatti, l’applicazione delle tutele previste dall’art. 4 della Legge nazionale 428 del 1990 e le garanzie previste dall’ articolo 2112 del Codice civile in relazione alle clausole sociali in caso di cambio di appalto. Tale vuoto normativo, che si è sommato negli anni ad un sistema d’incentivi economici privo di qualunque ratio sta determinando continue crisi aziendali che si scaricano unicamente sui lavoratori”.
“Per evitare che si susseguano ulteriori drammi – ha detto ancora il segretario generale del Slc-Cgil della Calabria – stiamo conducendo da mesi una difficile battaglia per regolamentare gli appalti e per dare regole più certe a lavoratori che oggi sono alla totale mercé di un sistema che permette che le attività vengano tolte ed assegnate su criteri che esulano totalmente dal fattore lavoro”.