LA CRISI

Call center, dopo Acea scoppia il caso 060606: a rischio altri 300 lavoratori

Oltre ai 420 addetti del customer care dell’azienda energetica romana, ora in bilico anche gli operatori del servizio assistenza del Comune. I sindacati si appellano al sindaco Marino: “Serve la clausola di continuità occupazionale nei cambi di appalto”

Pubblicato il 06 Ott 2014

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La crisi dei call center investe la Capitale. Oltre ai 400 lavoratori di E-Care addetti al customer care di Acea ora a vedere vacillare il posti di lavoro sono anche i 300 che operano al centralino dello 060606, servizio informativo del Comune di Roma.

A lanciare l’allarme la Slc Cgil. “Nei giorni scorsi sono state aperte le buste di due importanti gare di appalto del Comune di Roma, ora in fase di aggiudicazione, una per il servizio 060606, l’altra per i servizi e il centralino di Acea, azienda controllata al 51% dal Comune – spiega Fabrizio Micarelli, segretario della Slc Cgil di Roma e del Lazio – Per entrambe le gare si prospetta un cambio dell’azienda appaltatrice e per circa 700 lavoratori, da anni impiegati su tali commesse, si profila lo spettro del licenziamento”.

I sindacati non hanno nulla da dire sul cambio dell’ente appaltatrice, ma puntano il dito sull’assenza di regole che garantiscano la continuità occupazionale come avviene in altri settori e nel resto d’Europa. “Ci troviamo invece di fronte a un cambio del fornitore da parte del Comune di Roma, solo ed esclusivamente per abbattere i costi dell’appalto senza tener conto della qualità e della professionalità che le lavoratrici e i lavoratori possono ancora offrire alla cittadinanza, considerandoli di fatto una variabile indipendente dell’appalto – evidenzia Micarelli – Questo per noi è inaccettabile”.

Per la Slc sarebbe sufficiente che il sindaco Marino applicasse la clausola sociale per garantire la continuità occupazionale per salvarli dal licenziamento . “Sono mesi che come sindacato abbiamo denunciato al Comune di Roma il rischio licenziamenti qualora non si fosse intervenuti a modifica dei capitolati di appalto, da mesi continuiamo a ricevere rassicurazioni e solidarietà da singoli rappresentanti politici locali – sottolinea il sindacalista – È arrivato il momento che Marino intervenga con un atto concreto e chiuda positivamente la vicenda per le lavoratrici e i lavoratori. Se si vuol salvare il mondo dei call center in Italia, basta modificare la legge sugli appalti evitando il massimo ribasso, inserendo clausole sociali e recependo correttamente le direttive europee in materia. Altro che articolo 18 e job act”.

I sindacati hanno chiesto l’applicazione della clausola sociale anche per l’altra vertenza che scuote i call center romani. Quella che investe i 420 addetti al customer care di Acea, finora gestito da E-Care, che si trovano in una situazione del tutto simile a quella dei colleghi dello 060606.

“Non appena sarà aggiudicata la gara per l’assegnazione dell’appalto per la gestione del servizio 060606 – dice in una nota Francesco D’Ausilio, capogruppo del Pd in Assemblea Capitolina – l’Amministrazione Comunale dovrà convocare le aziende aggiudicatarie per verificare, entro i 90 giorni dal cambio dell’appalto, innanzitutto la possibilità di assorbire i lavoratori a rischio licenziamento e poi quella di scongiurare qualsiasi ipotesi di delocalizzazione del servizio in altre Regioni. Ipotesi che ci vedrebbe fortemente contrari. Pur sapendo che il capitolato d’appalto non presentava né la clausola sociale né il divieto di delocalizzazione, questa Amministrazione ha l’obbligo di fare chiarezza su questi punti e fornire garanzie ai lavoratori del call center”.

Per Roberto Cantiani capogruppo del Gruppo Misto in Assemblea Capitolina “il call center 060606 era un fiore all occhiello di Roma Capitale, adesso regna l incertezza pi assoluta soprattutto per la sorte di circa 700 lavoratori”

“Urge convocare un tavolo per tutelarli nonché per avere delucidazioni dall Amministrazione sullo stato delle cose e per mantenere alto uno standard di qualità riconosciuto da tutti i cittadini – afferma Cantiani – Per il momento il servizio è passato ad Abramo, una società calabrese con dipendenti in Albania”.

A preoccupare le sorti del comparto non solo le rappresentanze dei lavoratori, ma anche le stesse imprese. Nei giorni scorsi si è levato l’appello del presidente di Assocontact, Umberto Costamagna, che ha chiesto al governo regole certe per rilanciare il settore, puntando il sito contro la politica degli annunci.

“Eravamo stati facili profeti quando, nel luglio scorso – ha sottolineato Costamagna – dopo gli incontri dei tavoli ministeriali sui call center, per cercare di interrompere questa spirale continua di crisi aziendali che sembrava aggravarsi sempre più, chiedevamo con forza che ‘le convergenze dichiarate a parole si concretizzino velocemente per dare al settore una politica industriale che consenta alle imprese di sopravvivere e ai lavoratori di mantenere il posto di lavoro, in un contesto di libero mercato e di competitività basata sulla qualità’”.

Costamagna ha ricordato come l’associazione, che riunisce i contact center in outsourcing, avesse chiesto alle istituzioni interventi per una riduzione della pressione fiscale in un settore in cui il costo del personale si avvicina all’80 per cento del fatturato, la regolazione delle gare al massimo ribasso, e una discussione approfondita sui passaggi di appalto.

“Oggi, a distanza di due mesi e ancora in attesa della convocazione della ripresa del Tavolo Ministeriale, non possiamo non denunciare che le cose non si sono mosse e che, al contrario, stiamo registrando comportamenti che sembrano andare in direzione ostinata e contraria a quanto dichiarato e promesso nei mesi scorsi”.

“Un’ultima indicazione relativa ai contratti a progetto dei lavoratori che svolgono le attività di outbound. Insieme alle roganizzazioni sindacali – ha concluso Costamagna – siamo stati il primo e forse unico esempio in Italia ad aver regolamentato la disposizione legislativa della legge Fornero sui lavoratori a progetto: con l’accordo del 1° agosto 2013 sono stati definiti compensi minimi retributivi e diritti dei lavoratori. Nell’imminenza di procedere secondo le scadenze previste da quell’accordo, ascoltiamo annunci legati al Jobs Act del Governo Renzi che dovrebbe prevedere la revisione o l’eliminazione di questa forma contrattuale: come facciamo, come imprese, a pianificare una politica di sviluppo con questa incertezza, che coinvolge più di 35.000 lavoratori, con il rischio di una delocalizzazione massiva dell’intero settore? Questa incertezza, questa attesa, unita a quella della politica governativa sul regime della tassazione Irap, deve finire. Le imprese e i lavoratori hanno bisogno di certezze e di concretezza per poter impostare il proprio futuro e cercare di risolvere i problemi che ci attanagliano”.

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