“Nei prossimi 6 mesi potrebbero chiudere alcuni grandi call center con la conseguente perdita del posto di lavoro per circa 10mila lavoratori”. L’allarme lo lancia Vito Vitale, segretario nazionale del sindacato che si dice molto preoccupato per la tenuta “dell’industria dei servizi al cliente nel nostro Paese” perché, nonostante da alcuni anni riecheggi l’allarme sulla crisi del settore, nulla è stato fatto e le imprese sono al collasso.
“I call center, dopo le stabilizzazioni della circolare Damiano che ha trasformato migliaia di rapporti di lavoro da co.co.co. in subordinati, vivono una crisi irreversibile dovuta all’allineamento dei costi del personale al Ccnl, al contestuale e progressivo calo dei prezzi delle commesse e alla crescente delocalizzazione – ricorda – Le imprese sono costrette a delocalizzare a causa delle gare al massimo ribasso sia del settore pubblico che privato e, per sopravvivere, violano le disposizioni di legge “ Decreto Sviluppo” n° 83 del 2012 e dei comma 3,4, e 5 dell’ art 24 bis”.
La Fistel, insieme a Slc e Uilcom, ha già fatto un esposto alla Procura Generale sulla violazione della legge in materia di delocalizzazione e aspettiamo che la magistratura intervenga per far rispettare la legge dello Stato.
“La circolare Damiano, per quanto positiva, si è rivelata insufficiente per dare continuità al lavoro nei call center. Le gare al massimo ribasso, per Vitale, hanno bisogno di una normativa chiara: “il costo della commessa non può essere inferiore al costo contrattuale per retribuire i lavoratori” – evidenzia Vitale – Le istituzioni, la politica, le associazioni delle Imprese non raccolgono la drammaticità della situazione e si rendono responsabili di una gravissima crisi sociale, che vede le Regioni del Sud esposte a contestazioni di massa per l’altissima concentrazione di giovani in attività di call center”.
Secondo la Fistel gli interventi ad hoc per la risoluzione di alcune crisi industriali non sono sufficienti: “Non possiamo accettare che migliaia di giovani rischino di rimanere senza lavoro”, chiosa Vitale.
“Le istituzioni e il Governo devono intervenire sulla riduzione dell’Irap per settori a “labour intensive” come i call center, che hanno un costo del lavoro pari all’80% dei ricavi, sulla defiscalizzazione degli investimenti e sulla detrazione delle spese telefoniche e devono correggere l’utilizzo della 407/91, che premia chi utilizza le risorse per fare dumping al mercato invece di assicurare l’occupazione di lungo periodo”, spiega il sindacalista.
La situazione, dunque, non è più sostenibile. Il segretario della Fistel Cisl lancia la mobilitazione di tutti i lavoratori del settore, che trovi il sostegno del sindacato tutto e la condivisione delle associazioni delle imprese, della politica, delle commissioni parlamentari del lavoro di Camera e Senato.
Nei giorni scorsi ad accendere i riflettori sulla crisi del settore era stato stato il presidente di Assocontact, Umberto Costamagna che metteva in guardia le imprese sulla gara del Comune di Milano per lo 020202 il cui prezzo non tiene conto del costo del prsonale.
Secondo Michele Azzola segretario nazionale della Slc, Costamagna “ha fatto bene Costamagna”. “Le associazioni di categoria hanno il delicato compito di oriemntare il mercato, ma temo che il suo appello resterà inascoltato – avverte il sindacalista – In questo settore è un settore che ha fame di lavoro e che, quindi, è disposta ad accettare anche gare al massimo ribasso”.
Anche la Uilcom paude alla giusta presa di posizione di Assocontact. “Continuiamo a sostenere con forza – sottolinea Salvo Ugliarolo, segretario nazionale della Uilcom – che bisogna interrompere l’assurda gara, soprattutto se attività da soggettio società pubbliche, “a chi fa il prezzo più basso” realizzata puntando sugli aiuti pubblici, gliammortizzatori sociali e le delocalizzazioni di attività. Bisogna competere puntando sulla reale qualità dei servizi, sulle tecnologie, sull’efficienza organizzativa chesi realizza attraverso la formazione dei lavoratori e non su ribassi di prezzo “fittizi“ che sono poi realmentepagati dalle casse pubbliche (sotto forma di ammortizzatori in deroga o aiuti della legge 407) e chegenerano perdita del lavoro in Italia”.
Ma per Azzola il vero problema dei call center riguarda le modalità con cui è stata recepita la direttiva Ue sulle cessioni di ramo d’azienda. “Nel resto d’Europa, Gran Bretagna in primis, le regole sono state recepite in un modo tale che, in caso di cessione, l’azienda subentrante prenda in carico i lavoratori alle medesime condizioni. Questa interpretazione ha evitato lo sfascio in settori ad lato rischio occupazione come appunto i call center”.
“In Italia questo non è stato fatto – evidenzia Azzola – con il risultato che lo stato immette nel settore soldi pubblici per vertenze ad hoc che, però, non risolvono il problema che è strutturale”. La Slc sta valutando la possibilità di fare ricorso alla Corte di Giustizia europea proprio sulle modalità con cui è stata recepita la suddetta direttiva.
“Sarebbe veramente inconcepibile – conclude Vitale– che il Governo si dichiari a favore dei giovani cercando soluzioni per l’inclusione di questi nel mondo del lavoro e poi assista, passivamente, alla distruzione di un settore che impiega circa 80.000 lavoratori, più di quanti ne impiegano in Italia la Fiat, l’Enel, Telecom , le Fs”.