LA MANOVRA

Call center, maglie più larghe per delocalizzare. Allarme di sindacati e outsourcer

L’emendamento alla manovra in discussione alla Camera elimina l’obbligo di comunicare al cliente se la chiamata arriva fuori dall’Italia per le imprese che non esternalizzano il servzio di customer care. Slc, Fistel e Uilcom: “In fumo tutti i tentativi di regolamentare il settore”. Assocontact: “Vantaggi solo per i committenti”

Pubblicato il 11 Dic 2017

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Le delocalizzazioni nel settore dei call center ancora una volta al centro del dibattito. Stavolta a tenere banco è quello che sta succedendo alla Camera dove è stato presentato dal  Governo un emendamento alla legge di stabilità modifica all’art 24bis del decreto legge 22 giugno 2012 n. 83: il 24 bis stabilisce che chiunque si rivolga o sia contattato da call center debba sapere se la chiamata avviene fuori dall’Italia, dando la possibilità al cliente di scegliere un operatore all’interno della Ue.

L’emendamento presentato dal Governo escluderebbe da questi obblighi, iscrizione al Roc cimpresa,  le aziende che non esternalizzano il servizio di customer care e gestiscono dunque le attività in house.

Secondo i sindacati si stravolgerebbe il senso di quel provvedimento tanto faticosamente costruito con lo scopo di limitare le delocalizzazioni delle attività di call center. “Come noto, infatti, l’art. 24bis mette in campo alcuni importanti strumenti per regolare il settore dei call center, in particolare prevedendo alcuni obblighi in capo a committenti e outsorcer che a causa di questo emendamento del Governo verrebbero annullati”, spiegano Fabrizio Solari (Slc-Cgil), Vito Vitale (Fistel-Cisl), Salvatore Ugliarolo (Uilcom-Uil). I tre segretari chiedono “che questo emendamento venga soppresso e che questo episodio possa essere considerato una spiacevole svista”.

“Diversamente – concludono Solari, Vitale e Ugliarolo – il Governo dovrà rendere conto alle decine di migliaia di lavoratori di call center impiegati in Italia del perché, dopo mesi in cui si è prodigato a proporsi come regolamentatore diretto e indiretto del settore, non solo non ha ancora convocato il Tavolo di monitoraggio da noi richiesto da mesi, ma ha addirittura fatto retromarcia cambiando la legge e  deresponsabilizzando le aziende committenti riducendo gli strumenti che combattono la delocalizzazione all’estero”.

I sindacati temono che la norma apra la strada a delocalizzazioni selvagge da parte dei grandi committenti verso Paesi con costi del lavoro più bassi.

Inoltre l’articolo 24 bis è stato un forte deterrente alla delocalizzazione. Come spiega Fabio Gozzo della Uilcom “basti pensare alle crisi che ha attraversato il settore in questi anni e che ora sono in qualche modo tamponate”.

“Ovviamente questo non vuol dire- avvisa il sindacalista – che la crisi del settore sia superata ma che certamente obblighi come quelli che 24 bis sono essenziali per tutelare lavoro e aziende”.

Scontenta anche Assocontact. “L’emendamento crea disparità fra contact center in outsourcing (che non sarebbero interessati alla novità ndr) e committenti – sottolinea a CorCom il presidente, Paolo Sarzana – Non ci spieghiamo questa decisione del governo, soprattutto dopo che appena un anno fa Palazzo Chigi si è fatto promotore di un protocollo di intesa, che ha impegnato i grandi committenti a mantenere gran parte dell’occupazione in Italia. Se dovesse passare la nuova norma questo impegno andrà in fumo”.

Secondo Assocontact, le disposizioni se approvate rischiano di danneggiare il settore perché le aziende di call center che decidono di mantenere le attività al proprio interno sarebbero incentivate a delocalizzare il proprio servizio al di fuori dell’Unione Europea proprio in vista dei vincoli meno stringenti che porterebbe la norma.

“Siamo molto preoccupati, e non comprendiamo il senso di questa iniziativa che, oltre a non tutelare il lavoro nazionale, prevede una differenziazione di obblighi tra imprese committenti e fornitori di servizi di call center”, conclude Sarzana.

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