E’ partito il confronto tra Telecom Italia e i sindacati sull’ipotesi di procedere con una società ad hoc per il settore caring, cioè principalmente i call center, di Telecom Italia. Una soluzione che, spiega Michele Azzola, segretario nazionale della Slc Cgil, non piace alle sigle di settore da sempre contrarie. L’accordo sindacale del 27 marzo dell’anno scorso, che prevedeva tra l’altro la gestione degli esuberi con la solidarietà, comprendeva anche lo stop di un anno dell’azienda riguardo al progetto di “societarizzare” il settore del caring e una verifica alla scadenza della moratoria.
Il confronto è entrato nel vivo in questi giorni e la trattativa tra azienda e sindacati, secondo quanto si apprende, è comunque ancora aperta a tutte le possibilità; il prossimo confronto si terrà tra una quindicina di giorni. Il settore del caring di Telecom lavoro a 12.000 persone distribuite in 87 sedi in tutta Italia.
Secondo i sindacati, prosegue Azzola, l’azienda ha “messo in evidenza come i risultati conseguiti grazie alle intese raggiunte il 27 marzo abbiano permesso di aprire una riflessione che possa portare al superamento del progetto di esternalizzazione”. Allo stesso tempo, riferisce ancora Azzola, Telecom “ritiene necessario avviare una fase di “industrializzazione” del servizio caring per traguardare il superamento di una concezione attestata unicamente sulla riduzione dei costi puntando, invece, a migliorare la qualità e l’efficacia del lavoro svolto dagli operatori a beneficio dei clienti Telecom”. Tale prospettiva che potrebbe consentire, “nelle suggestioni aziendali, di trasformare il lavoro del caring da attività considerata di appoggio a un vero e proprio lavoro in grado di dare prospettive e sviluppo professionale agli operatori impiegati”.
La societarizzazione dei call center era stata “congelata” con l’accordo del marzo 2013 tra Telecom e sindacati. Con l’intesa sui call center la compagnia si era impegnata a non vendere né societarizzare la divisione fino, appunto, al 2014. In alternativa si era deciso di accorpare progressivamente i call center nelle aree metropolitane nel 2013 per chiudere poi 47 sedi periferiche nel 2014. L’accordo prevedeva inoltre l’introduzione di strumenti di efficientamento e recupero di produttività nell’organizzazione del lavoro, visto che – come convenuto dalle parti – “la sostenibilità del costo unitario del lavoro del settore è direttamente connessa ad un complesso di fattori che vanno dalla efficacia e qualità delle piattaforme informatiche all’incremento di produttività del fattore lavoro ed alla conseguente liberazione di nuova capacità produttiva interna”.