MERCATI

Campanini: “Tlc, tempo di consolidamento”

Il partner di AT Kearney: i mercati del fisso e del mobile in Europa mostrano indizi che vanno verso la concentrazione. Operazione strategica se porta a una struttura più efficiente della catena del valore

Pubblicato il 20 Mag 2013

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In Europa tutti gli indizi portano alla stessa conclusione: i mercati Tlc del fisso e del mobile vanno verso un inevitabile consolidamento per consentire la sostenibilità di lungo termine del business. I contatti in corso tra Telecom Italia e H3G rientrano insomma in uno scenario europeo. Queste le conclusioni di uno studio A.T. Kearney. Ne parla Claudio Campanini, partner della società.

Che cosa emerge dal vostro studio?

L’analisi dei trend in Europa mostra i segnali di un consolidamento del settore. Il mercato Tlc italiano dal 2009 ha perso 5 miliardi di € tra fisso e mobile e ci si attende un’ulteriore flessione almeno per i prossimi due anni. Nel mobile, gli operatori hanno mantenuto l’Ebitda come % del fatturato, ma hanno visto ridursi l’Ebitda assoluto per il calo dei ricavi. In Europa, i primi due operatori mobili nei singoli Paesi a fine 2012 hanno in media un Ebitda del 35-37% sul fatturato, da noi Tim e Vodafone superano il 50%. In Europa i terzi hanno il 30-32%, in Italia Wind è al 46%. I quarti, nei mercati europei in cui sono presenti, sono circa al 15-20%, 3 da noi si attesta al 15%.Data l’esigenza di investire in tecnologie e sviluppo della rete circa il 10-12% dei ricavi per i leader, il 12-14% per i terzi e oltre il 15% per i quarti, è evidente l’impossibilità per i quarti di generare un flusso di cassa operativo che remuneri il capitale investito e l’aumento di difficoltà anche per alcuni terzi operatori.

E per il fisso qual è la situazione?

L’Ebitda percentuale ha tenuto, ma in condizioni di mercato calante l’Ebitda in valore assoluto è sceso. Gli incumbent europei ex-monopolisti hanno in media un Ebitda del 40%, Telecom Italia è tra i più alti in termini di redditività, con circa il 47-48%. Gli Olo sono attestati sul 22%, con solo Iliad in Francia oltre il 40%; in Italia vi è forte variabilità, dal 10-15% di Tiscali e Vodafone sino al 26-27% di Fastweb. Gli investimenti del fisso variano dal 15 al 20% sul fatturato secondo la natura di ogni operatore e il business model in termini d’investimenti infrastrutturali; il cash flow operativo in Europa è del 25-30% dei ricavi per gli incumbent, con Telecom Italia al 35%. Gli Olo europei invece hanno in media un cash flow dell’8-10%, mentre in Italia i valori sono molto bassi, fra il 3-5%. Anche qui è difficile per molti remunerare il capitale investito.

Perché queste differenze tra l’Italia e l’Europa?

Sul fisso pesano fattori strutturali e regolamentari. Da noi l’unbundling è economico sul 60% delle linee, altrove, come in Francia per esempio, per via della configurazione della rete, è attivabile su oltre il 90% delle linee. C’è poi il bitstream, con marginalità molto diversa tra paesi e molto inferiore all’unbundling, che impatta sui conti economici. Il settore è poi condizionato dalle economie di scala; in Italia la qdm dell’incumbent resta tra le più alte in Europa e la concentrazione della quota Olo è inferiore rispetto ad altri paesi. Per questo alcuni non riescono a raggiungere adeguate economie di scala.

Nel mobile come si spiega la debolezza del nostro quarto operatore?

Qualunque analisi sul mobile dimostra la forte correlazione tra Ebitda e qdm per effetto delle economie di scala. Un esempio su tutti: in Germania il quarto operatore O2 ha una qdm del 17% contro il 10% di Tre, che si traduce in un margine di Ebitda del 31% contro il 15%. In alcuni paesi ci sono poi mercati a tre operatori. In Europa la quota del quarto operatore varia tra l’8 e il 20% ; le differenze spesso dipendono da un retaggio storico, legato a fattori quali data d’ingresso sul mercato, reattività dei primi due operatori, livello di prezzo, capacità di differenziarsi, ecc. Nell’ultimo anno e mezzo poi siamo stati il Paese peggiore in termini di calo di prezzi: meno 15% per voce e sms, meno 25% per dati.

Che previsioni da questo scenario?

Possono verificarsi concentrazioni nei singoli mercati nazionali sia nel mobile sia tra Olo nel fisso. Soluzioni alternative sono più complesse, implicano forti riduzioni dei costi e la revisione del modello di business. Ciò comporterebbe anche una modifica delle modalità d’investimento in tecnologia, con vincoli pesanti per lo sviluppo delle nuove reti.

È preferibile quindi per l’Italia, per l’innovazione, il consolidamento?

In un contesto competitivo come quello Tlc ogni operazione di concentrazione ha valenza strategica se porta a una struttura di mercato più efficiente per tutta la catena del valore: oggi forse tale struttura in Italia non si è ancora realizzata. I dialoghi tra H3G e Telecom vanno in questa direzione.

Quali pericoli del consolidamento?

Va valutato l’impatto sul consumatore, in termini di prezzi e qualità dei servizi, poiché la concentrazione può ridurre l’intensità competitiva. Inoltre la concentrazione va spinta solo se ha un senso strategico e industriale, non per valutazioni di pura natura finanziaria. Se dà luogo a sinergie, innanzitutto. E se l’equilibrio di mercato risultante consente agli operatori flussi di cassa adeguati per investire in tecnologia e remunerare il capitale investito, senza conseguenze pesanti sul consumatore.

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