“Pagare meno, pagare tutti”: non è uno slogan anni 70 ma è ciò che auspica Luigi Gubitosi, direttore generale della Rai, per far entrare risorse certe nelle casse della tv pubblica, da sempre sofferenti per l’evasione del canone che si aggira sul 30 per cento (27%). Lo sguardo è rivolto anche in questo caso al governo, perché modifichi la legge del 1938 naturalmente “obsoleta”, ha detto il dg Rai intervenendo al dibattito su “La riforma del canone radiotelevisivo in Europa nell’era digitale”, nell’ambito del festival Eurovisioni 2014. Ma proprio il governo non scopre le carte sulla riforma del canone (che in questi giorni è surclassata dalla stesura della legge di Stabilità), contando però sull’efficacia dell’annuncio di un nuovo sistema di pagamento che faccia pensare al superamento del canone stesso.
Il via libera definitivo al decreto deve darlo Matteo Renzi ed è probabile che voglia essere lui stesso a dare l’annuncio di quella che potrebbe apparire come “l’abolizione del canone”. Dal ministero dello Sviluppo contano che entro ottobre il decreto arrivi al Consiglio dei ministri, così che possa anche essere convertito in legge infatti entro la fine dell’anno. Anche per il governo il principio dovrebbe essere quello del “pagare meno, pagare tutti” sperando forse di poter dimezzare l’imposta. Secondo le indiscrezioni potrebbe essere eliminato il bollettino specifico del canone, ma una parte dei fondi per la tv pubblica potrebbero essere ricavati dalla dichiarazione dei redditi delle famiglie (secondo il consumo), con esenzioni per le fasce deboli, una parte dai giochi e dalla Lotteria Italia, e ancora, sull’acquisto di nuovi apparecchi.
La presidente della Rai, Anna Maria Tarantola, ha però avvertito come sia “pericoloso legare il canone al reddito”, troppo suscettibile a “repentini sbalzi, visto che fare televisione richiede certezza di risorse su un periodo lungo, dato che la maggior parte degli investimenti ha carattere pluriannuale”. Quindi per la tv pubblica è necessario un sistema di finanziamento “equo, adeguato, certo, stabile”, adatto ad ogni paese.
“Credo che possa essere un canone inferiore a quello attuale se pagassero tutti” ha detto Gubitosi, “le fasce più deboli potrebbero avere un’esenzione, con una sorta di canone sociale”. Nel 2014 il canone era di 113, 50 euro, il più basso d’Europa, rimasto invariato dall’anno precedente, pagato da circa 16 milioni di famiglie anziché da 24, con un’entrata per la Rai di 1 miliardo e 750 milioni. La vera sfida è combattere l’evasione. Il dg Rai non nasconde la sua pur ironica “invidia” per la Germania che, con la riforma, ha visto aumentare le entrate di 1 miliardo e 300 milioni di euro: se prima si pagava per il possesso dell’apparecchio televisivo o radiofonico, adesso che la tv si può guardare su tablet e smartphone, ogni famiglia deve versare una somma (stabilita dai Land ma che comunque è di circa 17,5 euro al mese per quattro anni), una tassa di scopo che pagano anche le aziende, escludendo ovviamente i bassi redditi.
Un sistema che funziona, ma sorprende che in Svezia (dove la riforma è finita in tribunale) si raggiungano punte del 13% di evasione del canone legato a ogni dispositivo che può ricevere canali televisivi. Altissimo il costo in Svizzera, circa 400 euro l’anno per ogni famiglia, ma non dipende più dal possesso o meno di televisioni o radio. La tv pubblica francese si è trovata ben 450 milioni di euro in meno da quando, nel 2008, il governo decise di togliere la pubblicità dopo le ore 20, perdita compensata da una sovvenzione che, nel 2014, ha portato 110 milioni di euro. In Olanda il governo ha abolito il canone nel 2002, sostituito con un prelievo diretto a carico dello Stato, ma il trasferimento alla tv pubblica è stato sempre inferiore a quello promesso.
Per tutti si pone il problema della rivoluzione digitale, della visione on line dei programmi tv (in Finlandia è sceso il numero dei televisori dichiarati), così come Gubitosi lamenta il dominio di Google sul mercato pubblicitario (“il peso pubblicitario della Rai è la metà di quello di Google”). Secondo il dg (che sulla quotazione in Borsa di RaiWay ha detto “stiamo rispettando il timing” verso fine anno), è “improponibile” creare due Rai, una con due reti commerciali e una di servizio pubblico senza spot, a meno che “non si riduca l’affollamento pubblicitario su tutte le reti”, perché “la Rai è una, deve fare servizio pubblico in tutto quello che fa, ma c’è chi la vorrebbe ridotta”. C’è poi la proposta di legge del deputato Pi Marazziti, che prevede di collegare il canone alla dichiarazione dei redditi (o alla bolletta elettrica, ipotesi però accantonata), 90 euro l’anno per 24 milioni di famiglie, esentando i senza reddito e aumentando il canone a 150 per gli over 260 mila euro, destinando una quota al fondo editoria.