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Cavi sottomarini a rischio tra crisi climatica e sabotaggi: la risposta è la resilienza



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I cavi sottomarini sono fondamentali sia per la connettività Internet che per i sistemi di comunicazione: in campo telco e big tech per rafforzare le infrastrutture, mentre tra i governi si apre il dibattito sulla risposta armata come autodifesa

Pubblicato il 24 apr 2025



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I cavi sottomarini sono la spina dorsale della connettività digitale globale, visto che trasmettono oltre il 99% del traffico dati intercontinentale. Tuttavia, questa infrastruttura deve fronteggiare due grandi rischi: i sabotaggi e il cambiamento climatico. Aumentare la resilienza è la necessaria risposta per gli operatori, ovvero telco e big tech, sempre più protagoniste nei progetti dei cavi.

I cavi sottomarini, infatti, sono fondamentali sia per la connettività Internet che per i sistemi di comunicazione a banda larga.

Una delle regioni più toccate dai rischi climatici è l’Asia, hub cruciale per il traffico internet globale con 12 importanti cavi sottomarini.

Cavi sottomarini, i rischi climatici e come mitigarli

Stime riportate da Telecom Review Asia indicano che, in uno scenario ad alte emissioni, il cambiamento climatico potrebbe ridurre il Pil dell’Asia-Pacifico del 16,9% entro il 2070, con paesi come il Vietnam che potenzialmente subirà perdite fino al 30%. La regione, che ospita il 70% della popolazione mondiale, rappresentava quasi la metà delle emissioni mondiali nel 2021, principalmente dalla Cina e dall’Asia meridionale.

Il cambiamento climatico sta esacerbando anche l’intensità dei tifoni nell’Asia-Pacifico, che, a sua volta, influisce sulla stabilità dei cavi sottomarini. Nel Sud-est asiatico, poi, esiste una specifica vulnerabilità legata all’attività sismica e ai frequenti spostamenti tettonici, che possono innescare terremoti e frane sottomarine.

Il Pacifico sud-occidentale ha anche registrato aumenti del livello del mare a tassi più che doppi rispetto alla media globale negli ultimi 30 anni. E, in generale, l’aumento delle temperature del mare sta alterando le correnti oceaniche, influendo sull’instradamento dei cavi e sulla loro durata.

Con l’aumento del livello del mare, le aree costiere che ospitano stazioni di approdo dei cavi affrontano maggiori rischi di inondazioni ed erosione, come dimostra il caso del Vietnam, che ha subito molteplici guasti ai cavi sottomarini negli ultimi due anni.

Strategie di mitigazione per la resilienza dei cavi

Uno dei modi più efficaci per migliorare la resilienza è diversificare e pianificare strategicamente i percorsi dei cavi sottomarini. Per esempio, i cavi sottomarini giapponesi sono altamente concentrati in due aree chiave: Minami-Boso nella prefettura di Chiba, e Shima nella prefettura di Mie, e questo ha spinto il governo a diversificare le rotte per prevenire diffuse interruzioni di Internet.

Un altro esempio è l’ambizioso progetto Waterworth di Meta, annunciato nel febbraio 2025. Allo stesso modo, l’estensione del progetto di Google per i cavi sottomarini esplora il collegamento tra Darwin e Singapore attraverso l’Isola di Natale. A sua volta, l’Asia Connect Cable, previsto per il 2027, aggirerà il Mar Cinese Meridionale, geopoliticamente sensibile, a favore del Mare di Giava.

Inoltre, i cavi dovrebbero essere posati più in profondità e rinforzati per resistere alle interruzioni sia umane che ambientali. Paesi come il Giappone hanno già implementato tecniche di posa avanzate, con alcuni cavi posti a più di due metri sotto il fondo del mare in aree ad alto rischio. Queste strategie aiutano a migliorare la resilienza dei cavi.

Il monitoraggio in tempo reale dei cavi sottomarini utilizzando l’analisi predittiva basata sull’intelligenza artificiale può aiutare a rilevare potenziali minacce prima che degenerino in guasti catastrofici. I sensori subacquei e i sistemi di monitoraggio autonomi potrebbero aiutare a tracciare i cambiamenti ambientali, come le fluttuazioni di temperatura, l’attività sismica e i movimenti dei boli marini.

Cavi sottomarini, le telco in campo (con gli hyperscaler)

Di fronte ai rischi ambientali, le società di telecomunicazioni, gli hyperscaler e i fornitori stanno intensificando le azioni per proteggere le loro infrastrutture e costruire sistemi di cavi più resilienti.

Gli operatori di telecomunicazioni, come Pldt nelle Filippine, hanno adottato misure proattive per mitigare l’impatto dei rischi ambientali. Pldt, che partecipa alla rete di cavi sottomarini Apricot, ha investito nella costruzione di stazioni di atterraggio in aree meno vulnerabili come Davao e Aurora, riducendo il rischio di potenziali danni dovuti a tifoni o conflitti territoriali. Tali sforzi mirano a migliorare la resilienza delle infrastrutture di telecomunicazione, garantendo un servizio ininterrotto anche di fronte a disastri naturali o tensioni geopolitiche.

Come parte del progetto di cavi Sea-Me-We 6, Hmn Technologies sta sviluppando cavi sottomarini in grado di resistere meglio a condizioni ambientali difficili, come temperature estreme, forti correnti e potenziali attività sismiche subacquee.

Inoltre, i progressi nelle tecnologie di monitoraggio consentono valutazioni in tempo reale della salute dei cavi sottomarini. Utilizzando sensori e droni subacquei, gli operatori di telecomunicazioni possono rilevare potenziali danni ai cavi prima che portino a interruzioni del servizio. Questo approccio proattivo consente riparazioni più rapide, riducendo al minimo l’impatto sulla connettività.

Anche gli hyperscaler, come Google e Amazon, stanno svolgendo un ruolo fondamentale nell’affrontare i rischi del cambiamento climatico per i cavi sottomarini. L’attenzione di Google sulla diversificazione delle sue rotte sottomarine e sulla scelta di percorsi alternativi, come quelli utilizzati dai cavi Echo e Bifrost, fa parte di una strategia più ampia per mitigare i rischi ambientali e geopolitici delle infrastrutture via cavo.

Rischi geopolitici: come agire contro i sabotaggi?

Sulla questione degli attacchi ai cavi sottomarini, l’analista Christian Schaller su Ejil talk, il blog della Rivista europea di diritto internazionale, ha scritto che combattere questi sabotaggi è prima di tutto una questione di applicazione della legge.

Il problema è che il diritto internazionale del mare, come tradizionalmente inteso, non fornisce agli Stati costieri un’autorità sufficiente per rispondere efficacemente alle attività di sabotaggio al di là delle loro acque territoriali. La Commissione europea e l’Alto rappresentante per gli affari esteri hanno recentemente proposto che il quadro giuridico per l’intercettazione delle navi dovrebbe sua rivalutato per migliorare la sicurezza dei cavi sottomarini in conformità con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Allo stesso tempo, la posizione della Nato è che le operazioni ibride contro gli alleati possono raggiungere il livello di attacco armato e portare il Consiglio del Nord Atlantico a invocare l’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico – ovvero la difesa collettiva.

Il dibattito resta aperto: è necessario stabilire se le conseguenze non fisiche a lungo termine che si possono aspettare come esito di campagne di sabotaggio coordinate contro i cavi possano essere rilevanti nel determinare se c’è stato un attacco armato e, quindi, innescare la risposta.

Secondo alcuni, tagliare dei cavi sottomarini soddisferà il requisito di gravità di un attacco armato “se causa una grave riduzione dell’accesso di uno stato a Internet e ad altre telecomunicazioni per un periodo di tempo sostanziale”. Molto dipende da quanto gli Stati siano disposti a considerare le conseguenze non fisiche a lungo termine come rilevanti nella loro valutazione di una determinata situazione. Ma è possibile che, di fronte alla crescente minaccia di sabotaggio strategicamente mirato, gli Stati cercheranno di definire che cosa costituisce un attacco armato alle infrastrutture marittime via cavo.

L’esercizio del diritto di autodifesa

Un’altra questione aperta è se l’azione esecutiva contro le navi sospette in acque internazionali, dove tale azione non è coperta dal diritto internazionale del mare, possa essere consentita come esercizio del diritto di autodifesa.

Mettere in campo questo diritto per rispondere alle forme più gravi di sabotaggio dei cavi sottomarini più critici sembra comportare un certo rischio di escalation. Tuttavia, la questione non è se lo Stato vittima possa usare la forza militare contro lo Stato attaccante. La questione più urgente è se lo Stato vittima possa intraprendere azioni esecutive per autodifesa contro le navi sospette in aree marittime in cui il diritto internazionale del mare non gli fornisce un’autorità sufficiente per farlo. Adottando un approccio complementare di autodifesa, gli Stati potrebbero aumentare il loro spazio di manovra legale senza andare oltre quanto consentito dal diritto internazionale del mare. E potrebbero segnalare ai potenziali aggressori che sono pronti ad agire in modo più deciso, se necessario, per proteggere le loro infrastrutture sottomarine.

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