LA SENTENZA

Cellulari, la Cassazione blinda la tassa di concessione

La Suprema Corte dà l’ok al decreto legge 4/14 che nega il rimborso del “balzello” a Comuni e contribuenti: “Il provvedimento non costituisce un’interferenza dei poteri esecutivo e legislativo nell’amministrazione della giustizia”

Pubblicato il 16 Set 2014

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Comuni e contribuenti devono rassegnarsi a continuare a pagare la tassa sull’abbonamento ai servizi di telefonia mobile: non riceveranno rimborsi nonostante il settore sia stato liberalizzato. Lo afferma la Cassazione aggiungendo – ed è questa la novità – che è stato corretto, e non costituisce “una interferenza dei poteri esecutivo e legislativo nell’amministrazione della giustizia”, il decreto legge 4/14 con il quale il governo è corso ai ripari sul rischio di restituzione della tassa per centinaia di milioni.

Con questa decisione – sentenza 19463, depositata ieri dalla Sesta sezione civile – la Suprema Corte ha ulteriormente “blindato” la tassa governativa sui cellulari dopo aver preso atto, con il verdetto 9565 emesso dalle Sezioni Unite lo scorso due maggio, della “permanenza” di questo “balzello” per effetto del d.legge 4/4 messo a punto dal governo con anticipo sull’atteso intervento delle Sezioni Unite per scongiurare il rischio di dover ridare agli “abbonati” quasi 13 euro mensili di tassa a decorrere dagli ultimi dieci anni.

Ad avviso dei supremi giudici – che hanno respinto il ricorso presentato dal Comune di Milano, uno dei “big” della “rivolta” degli enti locali che all’udienza del nove luglio aveva messo in dubbio anche la legittimità del decreto – è, infatti, da “escludere l’ipotesi” che quanto stabilito dal provvedimento “abbia in effetti portata innovativa e non interpretativa e costituisca, quindi, una interferenza dei poteri esecutivo e legislativo nell’amministrazione della giustizia”. “Nella specie il legislatore – prosegue la Cassazione – si è limitato a rendere vincolante una delle opzioni ermeneutiche emerse nella giurisprudenza”. “La soluzione ermeneutica alternativa, infatti,- rileva la Corte – è stata prospettata solo nella ordinanza, meramente interlocutoria, di rimessione per l’assegnazione alle Sezioni Unite” che, però, sono state “anticipate” dal decreto.

Infine, la Suprema Corte – che anche oggi ha continuato a respingere molti ricorsi degli enti locali che avevano nel mirino le modalità del salvataggio della tassa da parte del governo – esclude che “il risultato ermeneutico raggiunto dal legislatore possa generare dubbi di compatibilità con la disciplina comunitaria di settore”. E nemmeno disparità di trattamento – in violazione della Costituzione – tra cittadini che pagano la tassa perché abbonati, e quelli che comperano solo schede telefoniche prepagate e non la pagano.

Secondo i supremi giudici, “la fruizione di servizi di telefonia mobile in base ad un rapporto contrattuale di abbonamento col gestore presenta caratteristiche giuridiche fattuali non sovrapponibili all’acquisto di un certo tempo di conversazione telefonica mediante ricarica di una carta prepagata”. “Basta considerare che nel primo caso – nota la Corte – l’utente gode del servizio continuativamente e si obbliga al pagamento di un canone periodico, mentre nel secondo caso acquista un pacchetto di minuti”. Per questo “la differenza obiettiva tra le due situazioni – concludono i giudici – esclude l’irragionevolezza della diversità del relativo trattamento tributario”.

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