Cgil-Slc: “Lo 0,5% del fatturato degli Ott per fare le reti Ngn”

Il sindacato: le internet company sono le prime a saturare la rete, devono contribuire agli investimenti

Pubblicato il 25 Ott 2011

Superare il forte ritardo tecnologico del nostro paese, colmando il
digital divide e raggiungendo così gli obiettivi dell’Agenda
Digitale dell’Ue, puntando sulle Ngn come leva di crescita
economica. Intervenire con incentivi sugli investimenti e modifiche
normative da parte dell’Agcom. Questo in sintesi il messaggio
della Slc-Cgil, che oggi ha organizzato a Roma il seminario “Il
piano delle reti di nuova generazione per lo sviluppo e la
crescita”, che ha spaziato dai piani del governo al ruolo degli
enti locali per la realizzazione delle Ngn, stigmatizzando il
taglio per ragioni di finanza pubblica degli 800 milioni di euro
derivanti dal surplus dell’asta Lte al settore delle Tlc.

Genovesi (Slc-Cgil): "Per le Ngn un chip elettronico dagli
Ott"

“Per la realizzazione dell’Lte e della fibra, oggi sarebbe
sbagliato mettere in competizione fisso e mobile – ha detto
Alessandro Genovesi, segretario nazionale della
Slc Cgil – Fra qualche anno l’Lte sarà in competizione con
l’Adsl. Gli operatori mobili hanno sborsato 4 miliardi per le
frequenze Lte e dovranno spendere 1,5 miliardi a testa per la
realizzazione dei network 4G”. Secondo Genovesi, è necessaria
una “leva pubblica, magari Infratel, che porti la fibra fino alle
antenne nelle aree a fallimento di mercato e una leva legislativa
per abbassare il contenzioso con le tivù e liberare le
frequenze”.
Qui l'intervento integrale di Genovesi.

L’Agcom, poi, potrebbe fare due cose secondo il sindacato: da un
lato, un abbassamento delle tariffe di terminazione sul mobile solo
a fronte di un vincolo per gli operatori fissi di destinare una
quota dei risparmi alla costruzione di reti Ngn in fibra.
Dall’altro, l’Authority potrebbe individuare una terza fascia
di territorio, le aree intermedie potenzialmente competitive, al di
là delle aree a fallimento di mercato e di quelle a successo di
mercato, superando così la rigida bipartizione imposta a livello
europeo. “Sarebbe una soluzione per incentivare investimenti in
particolare nei distretti industriali – precisa Genovesi – che
di fatto in base alle distinzioni meramente demografiche dell’Ue
non rientrano nelle aree competitive, ma in Italia sappiamo che non
è così”.

Un’altra leva da usare è quella degli Over the top, che secondo
il sindacato devono contribuire alla realizzazione delle Ngn “con
un chip elettronico dello 0,5% del loro fatturato”. Serve,
infine, una regia pubblica per coordinare i vari interventi sul
territorio, evitando sovrapposizioni nella posa delle reti.

Vatalaro (Comitato Ngn dell'Agcom): "La tivù
sarà un volano per la fibra"

Per Francesco Vatalaro, professore
all’Università di Tor Vergata e presidente del Comitato Ngn
dell’Agcom, l’Italia deve uscire dall’empasse per quanto
riguarda le Ngn. “Nel settore Tlc in Europa, ma anche in Italia,
siamo passato a modelli privatistici – dice Vatalaro – e anche
per le Ngn credo che il modello sia questo e non si tornerà
indietro. L’Ue ci spinge alla realizzazione della rete ultra
broadband a 100 Mbps entro il 2020. Bisogna portare l’Ftth nelle
case degli italiani. Entro il 2015 il 15% delle famiglie europee
devono essere collegate in fibra, ma siamo in ritardo. Le famiglie
abbonate sono pochissime”. Un elemento che potrebbe spingere
verso la fibra, secondo Vatalaro, “al di là del cloud e della
telepresenza è la tivù diffusiva – precisa – nel 2017 con
l’avvento sul mercato di schermi piatti, ultra high vision, ogni
canale tivù occuperà una capacità di banda circa 10 volte
superiore a oggi”. Insomma, entro il 2017 la gran parte delle
tivù, secondo Vatalaro, migrerà sulla fibra.

“Fisso e mobile sono ormai in competizione di retta – continua
Vatalaro – ma la fibra fin sotto la base station è una soluzione
sbagliata per ragioni economiche”. Per quanto riguarda la
regolamentazione Ue, secondo Vatalaro la raccomandazione del
settembre 2010 sulle Nga non contribuisce affatto alla messa in
campo di incentivi sugli investimenti.

Manacorda (Cnel): "PA digitale, servono
standard"

Per Paola Manacorda, componente del Cnel, la crisi
dell’Occidente in Italia è accentuata dalla mancanza di “un
percorso verso la società della conoscenza – dice –
sistematicamente quando bisogna investire questo paese non pensa
all’Ict come ad una ripresa per uscire dalla crisi. L’Ict non
è la panacea, ma una società che punta sulla conoscenza può
progredire. Internet contribuisce al Pil, l’Ict inoltre ha un
vantaggio: non grava sull’ambiente, a parte gli scavi”. Secondo
Manacorda, il digital divide italiano è “culturale e politico
– continua – il tutto in un paese vecchio, dove l’occupazione
femminile è appena al 46%, penultima in Europa”. Mancano
investimenti pubblici per l’Ict “mentre ad esempio per
incentivare l’acquisto del decoder per il digitale terrestre i
soldi c’erano – aggiunge Manacorda – il compito di colmare il
digital divide è stato delegato alle regioni, ma lo sviluppo della
rete e dei servizi avviene a macchia di leopardo. Un esempio è
l’adozione della Pec, obbligatoria dal 29 ottobre per tutte le
imprese, ma soltanto il 50% della PA ne è munita”.

E’ necessario, chiude la consigliera del Cnel, standardizzare lo
switch off di alcuni servizi nella PA, dove peraltro ci sono
diversi servizi digitali al cittadino, ma troppo spesso troppo
complicati e per questo il loro utilizzo è scarso. Infine, la
tivù pubblica, che negli anni ’50 ha avuto un ruolo fondamentale
nell’alfabetizzazione della popolazione, non propone nulla sul
fronte dell’Ict. “Perché la Rai non fa dei mini corsi di
Internet?”, domanda Manacorda, che chiude proponendo
l’introduzione di un’agenda digitale italiana, che il Governo
dovrebbe presentare ogni anno insieme alla Finanziaria.

Savini (Anci): "Modello Expo per gli
scavi"

“I comuni non hanno competenze dirette sulle reti ultrabroadband
– dice Mauro Savini, esperto per l'Anci Area
Ambiente, Sviluppo e Innovazione – ma impattano molto
sull’ambito urbano delle città. Da circa un anno l’Anci si
impegna per semplificare gli interventi degli operatori, che devono
fronteggiare diversi problemi soprattutto nei piccoli comuni sui
vantaggi dell’ultra broadband. Stiamo cercando di modellizzare un
unico schema omogeneo per gli interventi di scavo, visto che ogni
comune si muove a sé”. In questo senso, l’Anci Lombardia ha
messo a punto una bozza avanzata “utilizzata per la realizzazione
delle infrastrutture in vista dell’Expo del 2015 – dice Savini
– l’obiettivo è diffondere questo modello anche altrove”.
L’Anci sta anche lavorando alla realizzazione di un catasto delle
reti, dopo il memorandum firmato un anno fa con Ministero dello
sviluppo Economico e i player del settore.

“Il 60-70% dei costi della fibra riguarda gli scavi – dice –
e i lavori di ripristino del manto stradale. Purtroppo c’è
ancora molta diffidenza verso le minitrincee. C’è una costante
interlocuzione con il Mise per la condivisione delle infrastrutture
(cavidotti) e con le utilities, anche se si procede a rilento”.
In tema di smart grid, l’Anci sta discutendo con diversi comuni
di medie dimensioni per ottimizzare il controllo da remoto di reti
di illuminazione ed elettriche. “Si tratta di sistemi che
consentono di abbattere i costi del 20-30% dei consumi energetici
negli edifici pubblici – chiude l’esponente dell’Anci – è
chiaro che in comuni come ad esempio Piacenza, che ha un bilancio
annuo di 80 milioni di euro, la possibilità di risparmiare un
milione di euro l’anno è un driver importante”.

Cicchetti (Telecom Italia): "PA, serve uno switch off in 10
punti"

“In Italia gli operatori Tlc nel complesso investono di più
rispetto agli altri paesi rispetto ai ricavi – dice Oscar
Cicchetti
, direttore Strategy di Telecom Italia –
Telecom ha portato negli anni l’Adsl al 92% della popolazione. La
fibra arriva in due milioni di edifici e le nostre reti mobili sono
le migliori. Per quanto riguarda gli investimenti, l’intervento
pubblico è auspicabile nelle aree a fallimento di mercato.
Infratel in questo senso qualcosa ha fatto, altri hanno fatto
qualcosa anche in Sardegna e Lombardia, ma non basta. E’ utile un
intervento pubblico sulle Ngn? E’ un terreno difficile e lo Stato
non può intervenire se non nelle aree a fallimento di mercato.
Basti pensare agli esiti non concreti del tavolo Romani”.

Passando alla proposta di Metroweb, Cicchetti dice che “può
aprire a interventi pubblici e parapubblici della Cassa depositi e
prestiti – dice – ed è una direzione giusta. Tanto più che
gli operatori in Italia sono disposti a investire, come dimostra
l’asta Lte. Certo, in altri paesi, ad esempio in Spagna, parte
dei proventi sono stati destinati al settore”. C’è poi un dato
da non dimenticare: “il 40% degli italiani considera Internet
inutile, ma non credo che incentivi in stile decoder del digitale
terrestre siano utili per la diffusione della banda larga – dice
Cicchetti – il mobile facilita l’adozione della banda larga, ma
servono dei servizi per incentivare gli italiani a navigare. In
Brasile, ad esempio, il nuovo status symbol nelle favelas è lo
smartphone connesso a Facebook, che ha sostituito l’antenna
parabolica nel cuore dei brasiliani”.

Sul fronte delle aziende, aggiunge il manager di Telecom, “gli
incentivi servono di più e il cloud abbatterà di molto le
barriere all’ingresso. Le aziende che non abbracceranno la Rete
sono destinate a morire”.

Per quanto riguarda la PA, secondo Cicchetti, “i servizi possono
essere un motore di alfabetizzazione, ma la strada maestra è
quella degli switch off forzati – precisa – invece
dell’Agenda digitale, bisogna individuare dieci servizi da
digitalizzare entro una data precisa, per dematerializzare la PA
allo stesso modo in cui in passato è stato imposto il modello
unico online per la dichiarazione dei redditi”.

Per quanto riguarda le regole, Cicchetti non ha dubbi: “Quando la
rete non esiste ancora non si devono disincentivare gli
investimenti, ma bisogna pensare al trade off fra reti vecchie e
nuove”. Gli over the top infine devono contribuire al
finanziamento delle Ngn e l’identità digitale degli utenti va
regolata.

Gola (Wind): "Economics delle telco in flessione nei
prossimi 5 anni"

“Gli economics delle telco negli ultimi anni sono molto cambiati
– dice Giuseppe Gola, direttore Finanza e
Acquisti di Wind – il tempo delle vacche grasse da mungere è
finito. Nei prossimi 5 anni ci sarà un calo dei ricavi sul fisso e
sul mobile del 3-4% nei prossimi 5 anni. Il valore del traffico
voce per Wind è dimezzato in pochi anni e in questo contesto la
diminuzione delle tariffe di interconnessione estrae ulteriore
valore dagli operatori mobili, senza dimenticare l’aumento delle
tariffe di unbundling”.

Insomma, in un contesto di calo generalizzato dei ricavi, il
traffico esplode. “nel 2011 Wind avrà 50 miliardi di minuti di
traffico mobile, nel 2000 la somma del traffico mobile e fisso in
Italia era di 100 miliardi di minuti voce”. Un aspetto negativo
per le casse degli operatori è la guerra dei prezzi, che si è
scatenata anche sul fronte del traffico dati in mobilità. “Ma
con l’Lte i clienti dovranno per forza pagare di più”, dice
Gola.

Nel mirino di Wind gli over the top: “Facebook e Google ci
cannibalizzano i ricavi – dice Gola – se i portali italiani
avessero la possibilità di gestire i dati personali degli utenti
allo stesso modo di Google e Facebook sarebbe diverso”.

Bragadin (Vodafone): "Incentivi per investire nelle aree meno
popolate"

“L’Italia non sa convivere con la competizione – dice
Marco Bragadin, amministratore delegato di TeleTu,
che fa capo a Vodafone Italia – il settore mobile continua ad
investire massicciamente, sulla rete fissa invece si fatica. L’ex
incumbent è dominante nel fisso. Per la realizzazione della banda
ultralarga serve una copertura complementare fisso-mobile, con
prevalenza del fisso nelle grandi città.

E’ auspicabile la presenza di incentivi per investire nelle aree
meno popolate del paese”. Per quanto riguarda la rete in fibra,
“la immaginiamo unica, aperta e paritetica sul fronte
dell’accesso – dice Bragadin – L’ammortamento dei costi per
la realizzazione della fibra dovrebbe arrivare grazie allo switch
off del rame”. Per quanto riguarda Metroweb, “il vataggio è
che esiste – dice Bragadin – ma lo scenario di oggi non ci
tranquillizza. Il piano industriale di Metroweb è ristretto a
Fastweb e punta a Milano e dintorni. La presenza di Banca Intesa è
un problema, visto il suo ruolo in Telco. La rete inoltre sarà
operativa soltanto nel 2017. La discesa in campo di cassa depositi
e Prestiti è interessante, a patto che l’azienda non si limiti a
Milano e dintorni. Vodafone potrebbe entrare in Metroweb, se il
raggio d’azione dell’azienda si allargherà. Anche perché o
sono presenti tutti gli operatori oppure li escludi tutti. Serve un
business plan più avanzato, ma di certo il ruolo di Cdp è
fondamentale, perché rappresenta un profilo di garanzia degli
investimenti molto elevato”.

“Non è obbligatorio realizzare un’unica rete – dice Vatalaro
– il problema vero sul tavolo è realizzare diverse eventuali
reti in contemporanea per non moltiplicare i costi di scavo”.

Lombardi (H3g): "Ott contribuiscano alle
Ngn"

“Dal 2000 ad oggi gli operatori mobili hanno dato 16 miliardi di
euro allo Stato – dice Antongiulio Lombardi,
direttore affari regolamentari di H3g – per noi il tema della
terminazione mobile è importante. Se abbracciamo la proposta della
Cgil di destinare i guadagni degli operatori alla realizzazione
delle Ngn, ci sarebbero circa 800 milioni da investire. Sugli Ott,
è necessario trovare un modo di tassarli, anche perché le tariffe
di terminazione andranno presto ad azzerarsi, l’Lte non prevede
tariffe di terminazione. E’ quindi necessario prevedere una nuova
disciplina di remunerazione degli Ott”.

Proietti (Fastweb): "Portare la fibra nelle aree
industriali"

Dopo il boom dei prima anni 2000 il mercato si è bloccato per
mancanza di risorse – dice Giorgio Proietti,
responsabile technology attività operative di Fastweb – abbiamo
cablato due milioni di unità immobiliari, ma sul fisso siamo molto
pressati da un lato dagli Ott dall’altro da Telecom Italia, che
totalizza la maggior parte dei 4 miliardi di profitti ante imposta
del mercato. Servono regole certe per non congelare gli
investimenti futuri in Ngn”. Un mercato da coprire è certamente
quello “delle aree industriali – dice Proietti – dove le reti
performanti sono carenti. Per la fibra ottica la maggior parte dei
problemi deriva da ostacoli a livello di amministrazioni locali,
che non comprendono i vantaggi del riuso delle reti esistenti.
Molte medie aziende italiane, anche blasonate, sono davvero carenti
sul fronte delle infrastrutture IT”.

Di Bernardo (Ericsson): "Servono nuovi modelli di
business"

“Serve in Italia un’infrastruttura abilitante e nuovi modelli
di business – dice Giancarlo Di Bernardo,
responsabile Engagement Practice di Ericsson Italia – Non si può
negare che gli Ott abbiano rinnovato i modelli di business. La
banda larga sta evolvendo, la Rete Ip sta per passare al 4G,
servono reti scalabili, che si devono semplificare. Bisogna
abbattere i silos tecnologici e dobbiamo essere consapevoli di cosa
succede sulle reti broadband, che cosa fanno gli utenti sulle reti.
In questo senso, serve una revisione della gestione sicura
dell’identità digitale. Bisogna passare da un concetto di rete
come “tubo” a quello di rete come “tubo intelligente”.
L’obiettivo è passare da una gestione di rete alla gestione di
servizi in base alla user experience, nell’ottica del prossimo
avvento dell’Internet delle cose”.

Loiola (Huawei): "Sull'Lte l'Italia parta in
fretta"

L’Ict è un tema centrale per il paese – dice Roberto
Loiola
, vicepresidente dell’Europa occidentale di Huawei
– Per quanto riguarda l’Lte, bisogna partire presto perché
l’Italia diversamente da quanto accaduto con il Gsm e il 3G non
parte per prima nel deployment della rete. E realizzare le reti Lte
è complesso. Sul fronte della politica, manca la mentalità
vincente per realizzare l’Agenda Digitale e su Metroweb,
l’iniziativa va tarata e compresa appieno, per capire se sarà di
scala oppure no. Come esponente di una multinazionale cinese dico
che per attrarre investimenti in Italia serve credibilità
politica”.

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