Contenuti, Balassone: “L’Italia si dia una mossa”

Il docente di economia dei media e segretario generale Anica: “I produttori diventino titolari dei diritti. Serve una totale riorganizzazione, o domineranno i prodotti degli altri”

Pubblicato il 22 Gen 2015

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“L’Italia si trova nuda di fronte al rapido avanzare del mondo digitale dove dominano i contenuti. Serve una totale riorganizzazione del sistema Tv, o domineranno i prodotti degli altri. Il rischio è di trasformare in un campo di disoccupazione – la produzione – quello che altri paesi trasformano in sviluppo e occupazione». Parla Stefano Balassone, docente di economia dei media e segretario generale Anica, ex vicedirettore di Raitre negli “anni d’oro” di Angelo Guglielmi.

Cosa comporterebbe per il sistema Tv Italia l’eventuale arrivo di Netflix?

Abbiamo una finestra temporale molto stretta per riorganizzare il sistema a partire dall’investimento pubblico nella Rai, in modo da invertire la logica finora dominante che ha portato alla marginalizzazione del prodotto. Finora il sistema tv ha fondato le proprie ragioni di potenza e business sulla centralità del controllo della rete e dell’etere. In tutto ciò il rapporto con la produzione è rimasto marginale. Perché il business era costruito non sulla produzione ma sulla distribuzione che consentiva di risucchiare introiti pubblici ed esigere per la parte pubblica, dal sistema politico, un salario chiamato canone.

Quali sono le priorità?

Serve che i broadcaster cambino rotta agli investimenti (come del resto fece l’Uk 10 anni fa) puntando a una condensazione delle risorse invece che al sostegno di una miriade di canali piccoli e grandi. Concentrando le risorse (pubbliche o generate dalla pubblicità) il broadcaster può puntare a trasformarsi in “committente di sistema”, ovvero di prodotto, nei confronti di un sistema di produzione indipendente, che non sia più, cioè, ramo d’azienda. Manca il prodotto nostrano online perché nel business è rimasta solo la Rai. Che però toglie tutti i diritti ai produttori e finora ha frenato lo sviluppo di piattaforme alternative.

Quali sono i vantaggi di questo spostamento di pesi?

Si provoca un’inversione di rotta. La produzione, in quanto indipendente, viene svincolata dall’obbligo dell’appalto: più rischio d’impresa, minori “creste” sul budget, che tolgono valore dal prodotto. Se la produzione non è più mero appaltatore ma diventa proprietaria di diritti si trasforma in titolare di un prodotto che a quel punto ha interesse a valorizzare.

In che modo?

Intanto i prodotti avranno chance anche presso altri investitori. In secondo luogo la valorizzazione sul mercato sia interno che estero diventerà fonte di risorse per il produttore e per il broadcaster che naturalmente godrà in quota di quello che sarà capace di rastrellare sull’enorme mercato mondiale che ha sempre più bisogno di prodotto di alta qualità.

Un ruolo diverso per i broadcaster.

E’ fondamentale che diventino il perno su cui gira la possibilità di una svolta per il mercato audiovisivo. È dai broadcaster che deve partire l’input a una diversa connotazione identitaria editoriale: più variegata, meno stretta sul cortile di casa, esportabile. Se i broadcaster non trovano presto un ruolo qualificato rimarranno isole assediate dal nuovo modello con acque che le lambiscono. Una riconversione è tutta a loro vantaggio.

Il contenuto non è solo al centro del business Netflix ma anche di sistemi Tv che hanno saputo adeguarsi.

L’attività produttiva della Tv pubblica inglese produce il 2% di pil. Ma paradossalmente il contenuto ha un potenziale di gran lunga maggiore per l’Italia. Se produci comunichi. E se comunichi al mondo intero un paese veicolandolo grazie a tutta la sua produzione, anche quella di tipo non narrativo, dai la volata all’intero made in Italy. La nostra cultura è anche nel disegno di un coltello. E’ lo spirito che pervade il rapporto fra la nostra industria e il mondo. Abbiamo molto da vendere, il made in Italy è un brand e per l’Italia è perfino più importante che per altri. C’è di più: 50 anni fa si sarebbe detto che la lingua italiana costituiva un freno, ma oggi è opinione comune che nel mercato mondiale la lingua non faccia più differenza. Ci sono prodotti come Gomorra che nessuno si sognerebbe di doppiare. Il mondo va avanti a sottotitoli. I blockbuster che attirano i ragazzi vanno a sottotitoli. È uno dei vettori dello sviluppo più qualificato che possiamo avere.

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