E’ entrato in vigore da trenta giorni l’ormai celeberrimo Regolamento per la tutela del diritto d’autore online varato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Troppo presto per provare a trarre bilanci anche se solo preliminari ma, forse, è già possibile trarre qualche prima conferma e talune parziali smentite circa i tanti dubbi e le molte perplessità che hanno accompagnato il varo del provvedimento.
Onestà intellettuale impone, innanzitutto, di riconoscere che, sin qui, non si sono consumati episodi di effettiva limitazione della libertà di informazione. Si tratta di una constatazione doverosa e, ad un tempo, confortante che, tuttavia, non può e non deve trarre in inganno.
Guai, infatti, a non tener conto che, sin qui, il Regolamento ha trovato applicazione in un numero modesto di casi e che c’è grande prudenza da parte di tutti i soggetti coinvolti nella sua attuazione – a cominciare proprio dai titolari dei diritti – ad evitare possibili effetti boomerang.
E’, infatti, evidente che qualsivoglia episodio di censura – piccolo o grande che sia – nelle prime settimane di applicazione delle nuove norme ne ipotecherebbe, inesorabilmente, la sopravvivenza specie in vista dell’udienza del prossimo 25 giugno all’esito della quale i giudici amministrativi dovranno pronunciarsi sulla legittimità o meno del Regolamento.
La stessa onestà intellettuale, tuttavia, impone anche di riconoscere che gli uffici ed il collegio dell’Authority, sin qui, hanno contribuito in maniera significativa a scongiurare il rischio che si registrassero episodi di questo genere profondendo equilibrio ed energie in un’applicazione ragionata delle norme del Regolamento e resistendo, probabilmente a qualche “segnalazione-tranello”, promossa proprio allo scopo di cogliere in fallo l’Autorità.
Ma se il giudizio sulle donne e sugli uomini al timone del Regolamento, dopo i primi trenta giorni di navigazione è positivo, non c’è, purtroppo, ragione per ricredersi sugli effetti collaterali giuridicamente e democraticamente difficilmente sostenibili che un’applicazione più automatica e routinaria delle norme del regolamento potrà produrre nei mesi che verranno.
Nonostante la prudenza, infatti, il primo mese di applicazione delle nuove regole conferma i dubbi e le perplessità già emersi. Una questione, tra le tante. L’Authority, nel dettare le regole che ora ha iniziato ad applicare, si è correttamente auto-limitata, stabilendo di poter intervenire solo ad istanza di parte e prevedendo che solo i titolari dei diritti d’autore su una specifica opera – o i loro rappresentanti – possano segnalare eventuali violazioni ed avviare il procedimento per l’accertamento dell’illecito e l’adozione dell’eventuale ordine di rimozione dei contenuti o di blocco all’accesso di un’opera o di un sito internet.
Sfortunatamente, tuttavia, nel passare dalla teoria alla pratica l’Authority si ritrova – verrebbe da dire incolpevolmente se non avesse scritto essa stessa le regole del “gioco” – ad accertare illeciti in assenza di qualsivoglia segnalazione da parte degli aventi diritti ed ad emettere ordini di inibitoria all’accesso di interi siti internet e, dunque, di blocco di intere attività imprenditoriali – lecite o meno lecite che siano – in assenza di qualsivoglia legittimo accertamento.
Si tratta di un dubbio già avanzato alla vigilia del varo delle nuove norme e che ha trovato immediata conferma nel primo provvedimento adottato dall’Autorità, quello oggetto della delibera con la quale l’Agcom ha ordinato a tutti i provider italiani di deviare il traffico diretto verso la piattaforma cineblog a seguito di una segnalazione con la quale la Fapav – la federazione contro la pirateria audiovisiva – le denunciava il carattere illecito della pubblicazione di una manciata di film di propri associati, puntualmente identificati con tanto di Url oltre a quella di diversi ulteriori film non meglio identificati ma, comunque – a detta di Fapav – riconducibili a propri associati. La piattaforma, tuttavia, ospitava – come ovvio che sia – una serie di film ben più ampia rispetto a quelli riconducibili agli associati Fapav.
Questo è il punto. L’Autorità – come le impone il proprio Regolamento – si è ritrovata “costretta” ad accertare la pubblicazione illecita dei video oggetto di segnalazione puntuale della Fapav, quella, “a campione” di taluni altri video presenti sulla piattaforma ed a derivarne poi una conclusione circa il carattere illecito dell’intera attività svolta sul sito internet in questione tanto da adottare l’unico ordine che le proprie norme le consentono di adottare: quello di blocco dell’intero sito deduttivamente dichiarato, per approssimazione, “pirata”.
Sul punto è bene essere estremamente chiari per evitare ogni equivoco o strumentalizzazione.
Il sito in questione, probabilmente, è effettivamente una piattaforma attraverso la quale vengono diffusi al pubblico prevalentemente contenuti audiovisivi in assenza di necessaria autorizzazione ma tanto non basta – o non dovrebbe bastare – in uno Stato di diritto per consentire ad un’Autorità di ordinare il blocco di un’intera attività imprenditoriale, considerando illecita anche la pubblicazione di contenuti in relazione ai quali, i rispettivi titolari dei diritti non hanno avanzato alcuna perplessità.
In casi come questo, l’ordine di deviazione del traffico disposto dall’Authority viola oltre che i più elementari principi del diritto che impongono si consideri illecito ciò che la competente Autorità accerta essere illecito – in via diretta e non in via indiretta e deduttiva – anche le norme che la stessa Agcom si è dettata, norme che le impongono di agire, accertare e intervenire solo in presenza di una segnalazione qualificata da parte dell’avente diritto.
Buon senso, equilibrio e prudenza degli uffici dell’Autorità, insomma, non bastano a rendere quadrato un cerchio ovvero legittimo un Regolamento nato illegittimo proprio perché suscettibile di produrre effetti collaterali democraticanente e giuridicamente insostenibili.
Le norme – che siano scritte in un Regolamento o in una legge – dovrebbero servire a garantire i diritti di tutti a prescindere da qualità soggettive o virtù dei giudici e delle autorità che sono chiamate ad applicarle.