INTERNET

Cosentino (Cdti): “Sulla net neutrality va trovata la quadra”

Il vicepresidente del Club Dirigenti Tecnologie dell’Informazione: “Allargare la banda o comprimere il contenuto? Una possibile strada è stimolare e favorire il dialogo fra i tanti stakeholder coinvolti salvaguardando gli interessi di tutte le parti in causa”

Pubblicato il 29 Set 2014

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Nel 2011 il Cdti (Club Dirigenti Tecnologie dell’Informazione) di Roma organizzò una tavola rotonda “Allargamento della banda o compressione del contenuto?”. Il dibattito si spostò sul tema della net neutrality. E non c’è dubbio che esso sia un argomento molto complesso, all’ordine del giorno delle autorità di regolamentazione delle Tlc di tutto il mondo. Con implicazioni non solo economiche e politiche, ma che toccano pure il tema delicatissimo dei diritti.
Mentre non più di tre anni fa i picchi di streaming si concentravano di notte per lo scarico di film porno, eventualmente gestibili con l’utilizzo di QoS nei momenti di picco, oggi lo streaming – spinto soprattutto dal video – impera nell’arco dell’intera giornata, secondo nel consumo di banda solo al download, come confermano i numeri reali riportatici da un operatore: streaming 34%, Web Surfing 19%, Download 41%, altro 7%.

Comprimere il contenuto? Sarebbe come arrestare un fiume in piena. Questa estate siamo stati impattati dai black out dei cellulari, dovuti al fatto che in vacanza smartphone e tablet sono principalmente usati per ascoltare musica, guardare video, chattare, giocare sui social network. E la nuova Tv mi ha colpito una riflessione di Carlo Freccero: “La televisione ha un pubblico che sta invecchiando con lei. I giovani la scoprono perché è arrivata sull’iPad, rappresenta un nuovo contenuto fruibile insieme alla musica e ai filmati”. E anche una riflessione di Michel Serres, vecchio professore: “Se ha consultato un buon sito in rete, Pollicina – nome in codice per studente, paziente, operaio, impiegato, governato, adolescente, che dico, bambino, insomma l’anonimo del luogo pubblico, può saperne altrettanto o di più, su un dato argomento, su una decisione da prendere, su una informazione annunciata, su un metodo di cura di un maestro, un giornalista, un responsabile, un politico eletto”. Come si fa a limitare Youtube e Google? E Netflix, che permette di accedere direttamente a stagioni intere di una serie tv? E come non citare Spotify, che permette di ascoltare musica in alta qualità? Ma la stessa PA sta diventando un Ott, con i servizi per l’Agenda digitale sempre più migrati in cloud. Insomma, comprimere il contenuto appare impossibile, anzi, aumentata la banda, aumenterà pure il consumo.

Allargare la banda? Servono investimenti significativi, perché nonostante gli investimenti in corso, pubblici e privati, e che spesso avvengono senza coordinamento, si evidenzia la scarsa disponibilità di banda. Gli investimenti pubblici debbono tenere conto della attuale crisi economica. Entra in campo anche la Rai. Ray Way potrebbe assumere un ruolo da operatore di rete, al servizio di qualche società di telefonia. Le telco devono risolvere una frustrazione sempre più evidente: continuare a investire a fronte di ricavi in progressivo calo e volumi di traffico in continuo aumento. E allora bisognerebbe avere il coraggio di dire ai propri clienti che la banda costa, e chi più consuma più paga, trasformando però di fatto Internet in un sistema a due velocità e due prezzi. Con significativi spostamenti di clienti da un fornitore all’altro. Le telco le provano tutte, abbinano contenuti Tv e connettività, cercando di legare ad essi gli utenti domestici fissi che sempre di più migrano al mobile e cambiano rapidamente fornitore. Ne è testimonianza l’accordo tra Sky e Telecom Italia, e ora Fastweb, che più che accordo commerciale sembra accordo strategico. Diverso è l’accordo con Netflix disposta a pagare a Comcast decine di milioni di dollari l’anno per assicurarsi che i suoi utenti che si connettono possano vedere in streaming film in alta qualità. Ma in questo modo si vincolano gli utenti Netflix a Comcast.

Gli operatori potrebbero disciplinare il consumo della larghezza di banda. Fece clamore sapere che fra il 2005 e il 2008 il più grande Isp degli Usa, Comcast, utilizzò tecnologie atte a bloccare segretamente soluzioni peer to peer come BitTorrent e Gnutella. Ma se un operatore limita per esempio la banda per Spotify, il suo stesso cliente passa ad un altro operatore perché vuole servizi in alta qualità. E poi l’operatore di rete deve tutelare la sua immagine di fornitore di accesso a “tutti i contenuti”. Senza dimenticare che in ogni caso il cliente dovrebbe conoscere per contratto – nella massima trasparenza – la qualità dei diversi livelli di servizio assicurata dal suo fornitore.
In realtà per le telco i veri nemici non sono di per sé i content provider, senza i quali non avremmo assistito all’esplosione dei ricavi da connettività. Eppure il faccia a faccia tra operatori di rete e content provider è sempre più duro e i primi stanno preparando piani per far pagare i secondi per la distribuzione “prioritaria” dei contenuti ai consumatori. Una proposta che si scontra con i sostenitori della neutralità della rete, secondo i quali i contenuti sono uguali e nessuno dovrebbe avere priorità sull’altro.

Far pagare di più i content provider, sostengono, creerebbe una rete a “due corsie”, una per i ricchi e una per i poveri. E poi la neutralità della rete è stato un fattore determinante per il successo dell’economia di Internet. Trovando supporto nella Internet Association, associazione che raccoglie i principali Ott, che ha sollecitato la Fcc statunitense a stabilire regole di net neutrality forti ed applicabili per la rete fissa e mobile, in modo da prevenire lo sviluppo di Internet a due velocità.
Insomma, tra allargare la banda o comprimere il contenuto, come trovare la quadra? Personalmente ritengo che una possibile strada sia quella di stimolare e favorire il dialogo tra i tanti stakeholder coinvolti; salvaguardando gli interessi di tutte le parti in causa, e trovando un equilibrio tra remunerazione delle reti e non discriminazione nei confronti dei nuovi attori, specie quelli minori e prossimi venturi.

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