“I nodi sono venuti al pettine, le telco sono nel bel mezzo della tempesta e non è una sorpresa. Sono anni che a Telco per l’Italia dibattiamo della questione e siamo alla resa dei conti”: Andrea Rangone, presidente di Digital360 è stato fra i primi a lanciare l’allarme già da un decennio a questa parte ma “non bisogna darsi per vinti e bisogna trovare la via per uscire dalla crisi e tornare a recuperare competitività”, è questo l’auspicio.
Presidente, come uscirne?
Il tema è questo: gli investimenti bisogna farli, è fuor di dubbio, ma i margini sono troppo risicati per garantire la sostenibilità. Ed è così da anni. I riflettori sono puntati sulla questione infrastrutturale ma bisogna ampliare gli orizzonti altrimenti non se ne esce. Le telco non possono continuare a configurarsi principalmente come carrier: nel B2B sono stati lanciati servizi a valore, ad esempio sul fronte del cloud e della cybsersecurity, ma si tratta di iniziative ancora troppo deboli per una presa sul mercato che consenta di invertire il trend della decrescita. Non bastano le partnership, e gli investimenti sono stati poco coraggiosi al netto di qualche sporadica iniziativa: servono operazioni forti, ad esempio attraverso acquisizioni ma anche in chiave di open innovation per una rivoluzione che parta dall’interno e poi vada verso l’esterno.
Però non ci sono i soldi per investire.
Non ce ne sono abbastanza ma quelli che ci sono bisogna orientarli nella giusta direzione. Le telco continuano imperterrite a farsi la guerra sui prezzi: ciò dimostra scarsa visione industriale e manageriale. la competizione sulle tariffe non porta da nessuna parte, è la leva più semplice ma quella che inevitabilmente distrugge il valore di tutta la filiera.
Il consolidamento, è arrivato il momento?
In realtà il consolidamento sarebbe già dovuto avvenire da molto tempo. Ma l’errore più grande è stato fatto a livello di autorità, in primis la Commissione europea che è stata più realista del re addirittura più liberale e liberista di americani e inglesi facendo proliferare gli operatori al posto di favorirne la riduzione e l’accorpamento. Una misura che avrebbe consentito anche e soprattutto di dare vita a campioni europei. La guerra dei prezzi non si sarebbe mai innescata se la competizione fosse stata fra meno soggetti. Ora cosa si fa? Si pensa a meccanismi di sussidio? A coinvolgere altri soggetti nell’infrastrutturazione? E per quanto tempo? È più che auspicabile un intervento sulla questione delle tariffe attraverso, ad esempio, meccanismi di pricing su modello di quelli di altre utilities come energia e trasporti per ridare ossigeno alle telco. Le telco sono finite in un circolo vizioso, un intervento dall’alto a questo punto appare quasi inevitabile.
Nel frattempo cresce la disaffezione legata a scarsa qualità delle offerte, disservizi e chiamate indesiderate. Il Garante Privacy ha preso seriamente a cuore la questione del telemarketing selvaggio e nei giorni scorsi ha comminato una serie di multe pesanti. Come recuperare la fiducia dei consumatori?
Se non investi in innovazione e nello sviluppo di servizi, se hai un debito monstre e non hai marginalità è chiaro che le conseguenze si abbattono sui consumatori in termini di qualità e sui lavoratori in termini di occupazione e quindi di licenziamenti. È matematico. Ma bisogna anche rieducare i consumatori: non si possono pretendere giga gratis, minuti illimitati e quant’altro e allo stesso tempo pretendere qualità nell’assistenza e nel funzionamento dei servizi. La vera sfida è far capire ai consumatori che qualità e prezzo sono due fattori strettamente legati e che le tariffe in Italia sono fra le più basse al mondo: come mai i consumatori conoscono bene ad esempio la differenza fra un telefonino di fascia bassa e uno di top di gamma e sono disposti a spendere anche oltre mille euro per uno smartphone ma poi pensano che la connessione a internet debba essere quasi gratuita? Non può funzionare.
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