«I campi elettromagnetici prodotti nell’ambiente dalle stazioni radio base sono migliaia di volte inferiori ai limiti previsti dalle normative nazionali ed internazionali. Soltanto a pochi metri dall’antenna si può giungere a valori vicini a quelli previsti dalla legge italiana, e man mano che ci si allontana dall’antenna il campo elettromagnetico si attenua progressivamente». Lo ha detto Guglielmo d’Inzeo, professore del Dipartimento di Ingegneria per l’Informazione Elettronica e Telecomunicazioni (Diet) dell’Università “La Sapienza”, che si sofferma sul tema del co-siting dei siti: “Nel 1998 quando entrò in vigore il decreto che fissava a 6 v/m il campo massimo di emissione, gli operatori non obbiettarono anche se il valore era notevolmente inferiore a quello previsto dalle norme internazionali – dice il professore – perché all’epoca l’ipotesi del co-siting non era presa in considerazione e con una sola tecnologia di trasmissione (il Gsm a 900 Mhz) era comunque abbastanza semplice rispettare una norma che in potenza era circa 100 volte più bassa delle norme internazionali”.
Il problema del co-siting è diventato attuale oggi, in vista del roll-out dell’Lte, anche perché nel frattempo si è aggiunto l’Umts ed il co-siting associato ad una politica di riduzione dei siti per ridurre i costi di gestione.
I singoli siti, quindi, ospitano già gli impianti 2G e 3G e l’arrivo del 4G aumenterà le emissioni locali creando problemi di rispetto dei limiti in vigore.
Basterebbe, di fatto, che la normativa Italiana si adeguasse a quella Europea, che fissa intorno 40-60 v/m il limite di emissione elettromagnetica per superare il problema.
“Dividere per dieci in termini di campo elettrico vuol dire dividere per cento in termini di potenza – precisa il professore – il legame tra campo elettrico e la potenza è un elevamento al quadrato. Quindi, passare da 6 v/m a 60 v/m, che è la grandezza significativa valutata dalle normative, vuol dire in termini di potenza, passare da uno a cento”.
D’altra parte la norma italiana era motivata dall’applicazione del principio di precauzione in attesa di nuovi studi e della necessità dell’ampliamento delle conoscenze.
“Le ultime valutazioni in materia da parte di tutti i maggiori enti internazionali, dall’Oms all’Icnirp, convergono sul fatto che i limiti europei sono in linea con le esigenze di tutela della salute pubblica – precisa D’Inzeo – è evidente che in Italia con i limiti più restrittivi dell’Ue il problema di superare i limiti di emissione per singolo sito si pone maggiormente”.
Poco tempo fa, il 26 aprile scorso, un documento dell’Hpa (Health Protection Agency), l’Agenzia per la protezione della salute Inglese, ha rivisto la letteratura più recente in materia concludendo che, “nonostante una notevole quantità di ricerche svolte non esiste una evidenza che esposizioni a livelli di campo inferiori ai limiti delle normative internazionali possano creare danni alla salute in adulti e bambini”, ovvero, nel nostro caso, non c’è nessun rischio associato alle emissioni delle stazioni radio-base per telefonia mobile.
L’Icnirp, l’organismo internazionale su cui si basano le norme europee, sta riesaminando le stesse ed entro un paio di anni procederà ad un aggiornamento complessivo. Il documento riesaminerà tutte le norme relative alle radiofrequenze, dai telefonini, al Wi-Fi, alla telefonia mobile e alle altre sorgenti emergenti (Rfid ecc.). In particolare anche alla luce dei recenti report nazionali, non sono previste significative modifiche dei livelli di esposizione permessa.
D’Inzeo studia la materia da 30 anni, anche in collegamento con un Centro Interuniversitario (www.icemb.org), che raccoglie una ventina di Università italiane che in maniera coordinata lavorano sul bioelettromagnetismo partecipando attivamente alle attività di ricerca internazionale ed ai bandi di Ricerca dell’Unione Europea.