SCENARI

Da Havas a Ubisoft, così funziona la tattica “predatoria” di Bolloré

Partita la “creeping acquisition” di Mediaset, ci si chiede se il manager bretone agirà da raider o da industriale. Una cosa è certa: non ha mai sbagliato un colpo prediligendo la fomula della scalata

Pubblicato il 14 Dic 2016

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È iniziata la scalata di Vivendi a Mediaset e ci si comincia a chiedere che “vestito” indosserà Vincent Bolloré per giocare la partita: quella del raider o quella dell’industriale. Se lo era chiesto qualche tempo fa anche il Financial Times senza però dare una risposta convincente. L’uomo d’affari bretone ha alle spalle una solida attività industriale di famiglia, che spazia dalla logistica, alle batterie elettriche alla pubblicità. Facendo affidamento su questo ingente patrimonio ha organizzato prima delle “incursioni” finanziare in proprio – è il caso della Lazard – e adesso tramite Vivendi, la media company che ha venduto tutte le partecipazioni telefoniche rimanendo con una grande liquidità di cassa. Da poter spendere, appunto, per fare shopping in Europa.

I media francesi, che lo conoscono bene, assicurano che il comportamento di Bolloré varia secondo i Paesi dove opera: in Francia fa il dominatore nelle aziende che lo interessano, come nel caso di Havas o per la più recente acquisizione di Ubisoft. In Italia, invece, ha sempre usato un approccio più misurato La dimostrazione è Mediobanca, dove è entrato nel lontano 2002 per difendere Vincenzo Maranghi e poi è rimasto per quasi 15 anni con una quota dell’8%, mai superiore al primo azionista italiano.

Per quasi tre lustri l’imprenditore-finanziere francese si è mosso con abilità nelle partite finanziarie nostrane, a volte dietro le quinte, altre calando direttamente nel momento meno atteso l’asso vincente. Resta memoria di un suo solo “incidente” nella penisola quando nel 2010 tentò invano di agevolare il passaggio della Premasin dell’amico Salvatore Ligresti a Groupama, inciampando in sanzioni Consob. Chi lo conosce ne loda genio, imprevedibilità e fiuto finanziario. I detrattori dipingono quella lucidità come spregiudicatezza, le partite finanziarie come “raid” e la rete di amicizie nell’establishment e nella politica come opportunismo.

Resta il fatto che in questi anni Bolloré ha saputo accrescere a dismisura il proprio impero. A volte con scalate finanziarie memorabili, altre con l’imprenditoria più tradizionale, ereditizia, come le piantagioni e la logistica in Africa. Col tempo ha avviato l’ascesa anche nei media, prima con la pubblicità di Havas poi scalando l’impero francese Vivendi. Lo schema prediletto è il rastrellamento, non l’Opa. In Vivendi ha il 20%. In Mediobanca è da oltre un decennio nel patto e da ultimo, secondo azionista con l’8%. Sfruttando la triangolazione tra Telefonica e il Brasile con tempismo e destrezza si è trovato al 24,19% di Telecom Italia. Ora getta la sfida a Mediaset di Berlusconi: la creatura televisiva del Cav, società icona di una storia prima imprenditoriale che politica. Più che un guanto di sfida è un assalto ostile, un affronto iniziato in primavera arrivando in soccorso di Mediaset su Premium, per poi rovesciare il tavolo a luglio rinnegando accordi e contratto con una battaglia legale il cui epilogo è l’inizio di scalata .

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