Da Londra a Panama, così gira il carosello fiscale

Il sistema di aggiramento dell’Iva per la creazione di fondi neri

Pubblicato il 25 Feb 2010

Così le società coinvolte, secondo l'accusa, aggiravano
l'Iva. Lo spiega in un articolo sul Corriere della Sera di oggi
Giovanni Stringa.

Di carosello non ce n'è uno solo. La fantasia di chi vuole
frodare il fisco, tra fondi neri e finti crediti Iva verso
l'Erario, può essere alquanto fervida. E concretizzarsi in
più di uno schema, articolato eppure a suo modo efficientissimo.
Il carosello fiscale, al centro delle cronache giudiziarie di
questi giorni, può insomma avere diverse facce.

C'è la versione europea, che non valica i confini
dell'unione e sfrutta la possibilità di non pagare l'Iva
sugli scambi tra Paesi Ue. E c'è l'opzione più
internazionale, che guarda ben oltre e può includere un appoggio
in Paesi lontani come Panama. Dove, ed è la stessa Ocse a
riconoscerlo ufficialmente, il sistema fiscale deve ancora «in
modo sostanziale» mettersi in regola con gli «standard
internazionali».

E' questa seconda ipotesi, a quanto sembra, alla base dello
scenario dipinto dall'accusa nell'inchiesta di questi
giorni. Un esempio? Si parte da una società inglese, che compra
traffico telefonico da una grande azienda italiana. Chiamiamo
quest'ultima Alfa: secondo l'accusa, i casi oggi sono due e
si tratta di Fastweb e di Telecom Italia Sparkle. L'operazione,
ipotizziamo, vale 100 euro. Niente Iva, perché questa è la regola
tra Paesi Ue. Da Londra arrivano quindi ad Alfa 100 euro. Gli
scambi non si fermano naturalmente qui, il cerchio disegnato dagli
inquirenti continua: deve passare ancora per altre quattro tappe
prima di chiudersi e ricominciare a girare. Alfa, infatti, compra a
sua volta traffico telefonico da Beta, sede in Italia, scambi
soggetti a Iva. Alfa trattiene un margine, mettiamo 5 euro, e versa
95 euro di imponibile più 19 euro di Iva. In totale 114 euro. E un
credito fiscale a bilancio.

Beta, sostanzialmente un semplice veicolo di passaggio, compra per
lo stesso importo da un'altra società italiana, Gamma. Sulla
fattura di Gamma, questa volta, non ci sarebbe traffico telefonico
ma royalty (diritti d'autore), veri o presunti che siano. Ed è
Gamma a mettersi in contatto, oltreoceano, con la società
panamense Delta, da cui compra le stesse royalty.

Sempre per 114 euro: 95 di imponibile e 19 di Iva. A Panama
dovrebbero arrivare 95 euro, al Fisco italiano 19. Invece,
l'intera somma va diritta oltreoceano. E le pendenze di Gamma?
Restano «inevase»: dopo qualche mese la società sparisce nel
nulla. E sarà velocemente sostituita da una nuova Gamma, pronta
anch'essa a entrare nel gioco e poi a uscirne al momento
debito. Le Gamma, insomma, fanno il lavoro sporco, mentre le Beta
mantengono il decoro necessario per trattare con i grandi gruppi
Alfa. Il cerchio si chiude tra Panama e Londra, con Delta che versa
agli inglesi 114 euro dietro fatture quest'ultima società che
può ricominciare il giro partendo con 14 euro in più. I
risultati? Crediti Iva e fatture a go go. E margini. Finché il
giro si ferma arrivando a cifre notevoli. Questa è la tesi
dell'accusa.

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