I dazi che hanno mandato in tilt le Borse mondiali non toccano i titoli delle società italiane delle reti Tlc e dei servizi, come Inwit, Poste e Tim; il rischio è contenuto agli effetti indiretti e a una eventuale recessione in Italia.
È quanto spiega Gianmarco Bonacina, responsabile Equity Research di Banca Akros su Repubblica: “L’andamento violento dei mercati sconta effetti dirompenti sull’economia reale, che al momento non si vedono”.
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Dazi, le nostre Tlc fuori dagli impatti
L’analista prosegue: “Bankitalia e Confindustria hanno rivisto le stime di crescita del pil italiano per il 2025 rispettivamente da +0,8% a +0,6% e da +0,6% a +0,2% e non prevedono una recessione. L’indice principale di Piazza Affari è invece sceso da un multiplo di 10,5 volte gli utili attesi per fine anno a un multiplo di 9 volte, inferiore alla media storica di 12 volte gli utili. Stesso discorso per l’Sp 500 che è crollato da una media di circa 23 a una di 18 volte utili attesi, contro una media storica di 20 volte gli utili”.
Anche i fornitori di rete europei Ericsson e Nokia sarebbero fuori dai peggiori effetti dei dazi sui titoli, secondo altre analisi.
Caos per i titoli dei big Usa delle Tlc
Al contrario, sono le società con sede negli Stati Uniti che realizzano prodotti per le reti di telecomunicazioni che potrebbero davvero soffrire per i dazi. Tra questi ci sono Dell e Hpe, produttori di server venduti ai data center internazionali. Quegli stessi server vengono anche acquistati dagli operatori Tlc per ospitare software di rete, comprese le applicazioni utilizzate nel core 5G.
I rischi per Dell e Hpe si riflettono nella reazione del mercato da quando il presidente Donald Trump ha annunciato i dazi. All’inizio della settimana il prezzo delle azioni di Dell aveva perso un quarto del suo valore dal “Liberation day” del 2 aprile. Hpe ha lasciato sul tappeto il 21%. Ericsson che Nokia sono scese del 15% nello stesso periodo. Gli investitori sono stati presi dal panico perché, oltre a procurarsi componenti dall’estero, entrambe le società di server statunitensi dipendono fortemente da strutture al di fuori degli Stati Uniti per la produzione e l’assemblaggio.
I dazi potrebbero essere ancora peggiori per le piccole aziende statunitensi che cercano di entrare sul mercato Ran, tra cui Mavenir, sfidante statunitense di Ericsson e Nokia.
L’allarme della Silicon Valley
I semiconduttori restano al momento fuori dalla guerra dei dazi, ma Trump ha preannunciato la scure anche in questo settore. L’effetto potrebbe essere disastroso perché l’industria dipende pesantemente dai chip avanzati prodotti in Asia, come quelli della Taiwanese Tsmc. Le americane Apple, Microsoft, Nvidia, Amazon, Alphabet e Meta sono le maggiori aziende che progettano chip ma sulla manifattura dominano i colossi asiatici.
In generale, i nuovi dazi annunciati da Trump rischiano di ridefinire l’assetto economico globale e di produrre effetti particolarmente pesanti sul settore delle telecomunicazioni. Il provvedimento, entrato in vigore il 5 aprile, prevede un dazio del 10% su tutte le importazioni e tariffe più alte verso i paesi con cui gli Stati Uniti registrano maggiori disavanzi commerciali: Cina (54%), Vietnam (46%) e Unione europea (20%).
L’aumento dei costi su beni chiave come smartphone, 5G, fibra ottica e sistemi di networking sta già scuotendo la filiera produttiva mondiale. Gli operatori del settore telecomunicazioni segnalano preoccupazione.
“I dazi riducono la crescita della connettività per consumatori e imprese”, ha dichiarato Melissa Newman, vicepresidente della Telecommunications Industry Association americana, ribadendo la volontà di collaborare con l’amministrazione.
Gary Shapiro, ceo della Consumer Technology Association, ha parlato di “massicce tasse sugli americani” che potrebbero “aumentare l’inflazione, distruggere posti di lavoro e spingere l’economia in recessione”.
Dazi e Tlc, supply chain sotto pressione
I dazi aggravano una situazione già complessa per le supply chain del comparto tech. Nonostante negli ultimi anni le aziende abbiano cercato di diversificare la produzione, spostandosi da Cina a Vietnam, India e Malesia, le nuove tariffe vanificano in parte questi sforzi. “Le aziende avevano ridotto la dipendenza dalla Cina, ma ora le alternative asiatiche sono anch’esse colpite”, osserva Jitesh Ubrani di Idc.
Secondo Jason Miller, docente alla Michigan State University, gli Stati Uniti sono “molto dipendenti dalle importazioni di componenti critici per le telecomunicazioni”, e gli aumenti dei prezzi sono inevitabili. L’analista Jimmy Yu di Dell’Oro Group spiega che le apparecchiature a maggiore contenuto hardware — come sistemi ottici e di trasmissione a microonde — subiranno i rincari più pesanti.
Le conseguenze varieranno tra i diversi vendor. Secondo Leonard Lee di neXt Curve, produttori come Ericsson e Nokia, che hanno una solida presenza manifatturiera negli Stati Uniti, risentiranno meno dei dazi. Al contrario, aziende come Dell, Hpe e Supermicro, con catene di montaggio localizzate prevalentemente in Cina e Taiwan, saranno maggiormente penalizzate.