«L’opt-in? Può apparire una buona idea rendere disponibili
browser a prova di privacy, niente cookies e super-cookiers,
lasciando agli utilizzatori la scelta di far conoscere i propri
dati. Ma mi pare poco realizzabile: significa imporre a tutti i
costruttori di browser, nessuno dei quali è italiano o europeo, di
settare all’atto della vendita i parametri alla massima
privacy». Maurizio Dècina, tra i massimi esperti
di telecomunicazioni e di Internet, è scettico sulle proposte che
circolano per garantire la privacy in rete.
Potrebbe pensarci il consumatore…
Anche questo poco efficace, visto quel che succede in concreto.
Basta un piccolo “incentivo” e le barriere saltano col consenso
dell’utente. Tanto più che le condizione di cessione dei propri
dati sono spesso poco chiare.
Internet e privacy sono due mondi senza possibilità di
dialogo?
Se vuole una risposta da ingegnere è che il dialogo è quasi
impossibile. Pensi a cosa può avvenire poi con l’Internet delle
cose, quando oltre alle persone ci saranno miliardi di oggetti
collegati in rete: il cyberspazio invaderà lo spazio reale.
Vuol dire che dobbiamo alzare bandiera bianca?
Al contrario, dico che dobbiamo pensare a strumenti veramente
efficaci nel garantire la privacy dei cittadini, non soltanto a
opt-in e opt-out. A che serve l’opt-in quando abbiamo sistemi di
tracking ben più potenti dei semplici cookies? Sono sistemi che
mirano non soltanto ad analizzare quel che facciamo noi, ma a
“scoprirci” insieme ai nostri amici di social network.
Non a caso gli imperatori emergenti di Internet sono proprio
Facebook e Twitter, più di quanto lo siano i tradizionali
operatori over the top come Google, Apple, eBay, Amazon.
Perché li chiama i nuovi imperatori?
Perché i profili costruiti dai siti di social network e da chi
vende applicazioni “social” riguardano non solo l’individuo,
ma anche il contesto in cui egli vive, lavora, opera, si diverte,
si relaziona. Non è un personal profiling ma un social profiling
che coinvolge familiari, amici, persone che ne condividono i gusti
in rete. Ciò rappresenta un potere enorme di branding e marketing.
Per fare un esempio, una cosa è l’advertising di un’auto che
Google mi manda sapendo che incontra i miei gusti; ben più potente
è il messaggio che mi viene da un gruppo di amici che mi consiglia
di comprare quell’auto. La forza non viene dal messaggio
pubblicitario diretto, ma dalla capacità di influenzare il gruppo
di opinione.
Come spiega i “crediti” usati da Facebook per il video
on demand con Warner Bros?
Per dirla con una battuta, Facebook prova a “battere moneta”.
Sta puntando a disintermediare il sistema finanziario: banche,
carte di credito, telefonia prepagata. Significa soldi che si
spostano da Visa, Paypal, le stesse telco, verso Facebook. Qualcosa
di simile lo ha fatto Apple cui va il 30% del business che passa
sul suo application store. Ed è proprio a questo che punta Google
attraverso la diffusione di Android. Lo stesso Facebook si è
accordato con Htc che usa Android nei suoi smartphone. Controllare
il terminale di utente è decisivo per il controllo del sempre più
esplosivo mercato della mobilità: smartphone o pad che siano, essi
hanno svariati canali aperti che costantemente “sparano” in
rete verso Google, Apple, Facebook e i vendor di applicazioni, i
nostri dati, le nostre preferenze, i nostri profili.
Gli operatori telefonici stanno alla finestra.
Anche perché è un gioco ad armi impari. Le garanzie di privacy e
gli obblighi alla neutralità della rete sono diseguali, a
svantaggio delle telco.
Che però hanno faticato a capire le opportunità della
Rete.
Non c’è dubbio: sono state a guardare le mosse dei grandi online
service provider americani che oggi dominano il mercato di
Internet. Va però anche detto che oggi le telco non possono
profilare preferenze, gusti, attitudini dei singoli clienti per
mandare advertising o proposte personalizzate.
Liberi tutti?
Non sto dicendo questo. Anzi, credo che le telco possano avere un
futuro nel data mining, il cosiddetto “social analytics”,
proprio allontanandosi dalla profilazione individuale,
personalizzata, irrispettosa della privacy su cui si sono lanciati
gli Ott. Il loro futuro, ma anche in quello dell’Internet delle
cose, sta in un profiling di gruppo, in cui l’anonimato personale
è assolutamente garantito. Mi rendo conto che è un argomento
molto delicato, ma esistono tecnologie molto potenti di
crittografia per l’anonimato (strong anonymization), che oggi non
vengono utilizzate dagli Ott.
Forse si dovrebbe parlare di privacy partendo proprio da
lì.
Sì, comunque, per le telco una delle battaglie cruciali si
giocherà sul mobile payment. Oggi il fenomeno è soprattutto
giapponese, ma i telefonini con tecnologia Nfc, che consente micro
pagamenti, si svilupperanno anche in Europa e Usa. E poi, i carrier
potranno avere un vantaggio enorme in tutte le altre applicazioni
specifiche dell’Internet delle cose: mobile health, telemedicina
con i telefonini, smart home, intelligent transportation systems.
Si tratta di applicazioni alla portata di chi gestisce le reti
mentre gli Ott sono concentrati sui grandi mercati del ciberspazio.
Le telco sono in difficoltà, ma hanno le armi per reagire se
sapranno cogliere le opportunità di Internet.
Dècina: “Le telco puntino sul data mining”
Gli operatori Tlc potranno vincere la guerra con le net company giocando le carte su un profiling in grado di garantire l’anonimato personale
Pubblicato il 18 Apr 2011
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