Meno fondi alla banda larga nel decreto del Fare. Le ultime modifiche al testo decise nelle Commissioni Bilancio e Affari e Costituzionali della Camera hanno attinto da risorse stanziate con precedenti decreti – tra cui appunto la banda larga – per coprire alcuni provvedimenti. In particolare sono stati stralciati 20 milioni dai 150 milioni finanziati dal Crescita 2.0 per l’Agenda Digitale che sarebbero serviti a eliminare il digital divide al Centro Nord, obiettivo che a questo punto diventa più difficile raggiungere. In realtà il Crescita 2.0 indicava come termine di copertura totale il 2013, ma i bandi sono appena partiti e quindi il ministero allo Sviluppo economico aveva deciso di rimandare tutto al 2014.
Non sono stati toccati invece i 100 milioni di euro che il Mise sta stanziando per il Sud, dove – tra l’altro – sono state avviate gare per la banda ultralarga a partire dalla Campania.
Ora bisognerà trovare quei 20 milioni mancanti per portare avanti gli accordi anti digital divide con le Regioni nell’ambito del piano nazionale banda larga. La speranza è il decreto Fare possa essere modificato al Senato, ma è poco probabile dati i temi stretti per la conversione in legge del decreto.
Vengono però salvaguardati i 174 milioni alle Tv locali (174 milioni e 684.709 euro) che erano stati previsti dalla legge di stabilità 220/2010 come indennizzo per il rilascio delle porzioni di spettro vendute con gara agli operatori di Tlc. Le misure economiche saranno erogate come contributi in conto capitale e le tasse potranno essere spalmate su più anni. Non è dunque passato l’emendamento che prevedeva la detassazione.
”Dopo essere riusciti a scongiurare la marcia indietro sulla liberalizzazione del Wi-fi grazie anche alle esortazioni di Scelta Civica, purtroppo dal Decreto Fare arrivano altre notizie negative per le Tlc- dice Stefano Quintarelli, deputato di Scelta Civica – Pare infatti che per evitare il taglio alle Tv locali si stiano sottraendo risorse al fondo istituito dal dl Crescita del governo Monti per finanziare il completamento del Piano nazionale banda larga. Se cosi’ fosse ci troveremmo davanti a un grave errore di prospettiva: e’ giusto aiutare le emittenti televisive private, si intenda, ma si doveva incidere altrove. Perche’ tagliare le risorse destinate a ridurre il digital divide vuol dire rinunciare al futuro”.
Quintarelli ricorda che, ”nel corso della conferenza ‘State of the Union’ del maggio 2012, il presidente Monti annunciò che gli investimenti in banda larga e Agenda Digitale sarebbero stati conteggiati fuori dal fiscal compact: un’occasione unica per imprimere un’accelerazione all’infrastruttura digitale italiana che non puo’ e non deve essere sacrificata per questo o quell’interesse particolare. Basti pensare che, secondo i dati della Commissione europea, il ritardo nella banda larga costa all’Italia un punto e mezzo di Pil e che entro il 2015 potrebbe dare circa 700 mila posti di lavoro. Tagliare risorse alla banda larga – conclude Quintarelli – vuol dire non cogliere un’importante opportunita’ di crescita”.
Secondo la Fiom è “gravissimo” aver deciso di di ridurre i fondi già stanziati per l’estensione della banda larga.
“Si tratta di una decisione incomprensibile e incoerente – Fabrizio Potetti, coordinatore nazionale Fiom-Cgil per il settore Ict – Tutti gli organismi internazionali, infatti, legano agli investimenti per la realizzazione di una rete a banda larga e al superamento del digital divide un aumento del Prodotto interno lordo. La stessa Unione Europea, d’altra parte, ha indicato nell’azzeramento del digital divide il primo obiettivo per la cosiddetta Agenda Digitale”.
“In un momento difficile come questo, oltre a non agire con sufficiente determinazione per colmare il gap con altri paesi più avanzati, il Governo italiano, in sostanza, decurta gli investimenti in un settore di alta tecnologia, il cui sviluppo è destinato ad avere forti ripercussioni sulla crescita e sull’occupazione”.
“Speriamo in un ripensamento di questa scelta negli sviluppi della discussione parlamentare – conclude Potetti – Ciò per evitare ulteriori problemi ad un settore che, da un lato, è dotato di grandi potenzialità per il futuro mentre, dall’altro, si trova oggi in una situazione di crisi e con diverse vertenze occupazionali aperte. In questo momento è necessario selezionare le iniziative da assumere, privilegiando quelle con ricadute positive sulla crescita e sull’occupazione”.