L’Lte avrà un ruolo, ormai è certo, nella guerra al digital divide italiano. Non si sa ancora quanto sarà importante, tuttavia, né le modalità in cui il futuro di queste reti 4G si intersecherà con il piano nazionale banda larga. Gli operatori cominciano a ragionarci proprio in questi giorni: l’incognita è in che modo i bandi di gara e, in generale, i fondi pubblici sosterranno le coperture Lte, anche in ottica di anti digital divide.
Intanto, il punto assodato è che gli operatori dovranno utilizzare le frequenze 800 MHz, con l’Lte, anche per coprire aree ora non raggiunte da banda larga. Lo prevede il bando dell’asta Lte che ha assegnato quelle frequenze. Entro il 2017, dovranno quindi portare la larga banda mobile in comuni con meno di 3mila abitanti (sono circa 4.500 in Italia), in cui si trovano gran parte delle aree in digital divide. Telecom Italia e Vodafone hanno preso due lotti a 800 MHz e quindi devono coprire 1.800 comuni ciascuno. Wind la metà, avendo un solo lotto.
Gli obblighi si basano su un dato oggettivo: le frequenze a 800 MHz, sottratte dal governo alle emittenti televisive, hanno caratteristiche tali che permettono di coprire vaste aree con un numero ridotto di antenne.
Se vediamo le dichiarazioni rilasciate dagli operatori mobili negli ultimi mesi, scopriamo però una cosa: sono due quelli che hanno annunciato con più insistenza la propria intenzione di usare l’Lte anche contro il digital divide: Vodafone e 3 Italia. Nessun sorpresa per Vodafone, visto il suo storico piano 1000 Comuni, lanciato ai tempi del 3G e ora aggiornato (anche nel nome) ai tempi del 4G, verso nuovi obiettivi.
“Vodafone Italia contribuisce allo sviluppo delle aree in digital divide investendo ogni giorno 2,5 milioni euro per portare la banda larga e ultra larga a tutti, ovunque: alle persone, alle famiglie e alle imprese”, dice al nostro giornale Michelangelo Suigo Responsabile Public Affairs di Vodafone Italia. “Attraverso il progetto Internet Ovunque, Vodafone ha coperto circa 1.100 piccoli comuni”, aggiunge. Per quanto riguarda il futuro, “le frequenze a 800 Mhz sono un’opportunità concreta per colmare il digital divide nel Paese. Questo, sia per gli obblighi di copertura che vi sono associati, sia per le stesse caratteristiche tecniche della banda a 800 Mhz”, conferma Suigo.
3 Italia non ha blocchi a 800 MHz ma insiste ugualmente sulla lotta al digital divide. “Abbiamo scelto di partire con la rete Lte da un piccolo centro (Acuto) proprio per evidenziare il fatto che questa tecnologia permette di chiudere, in tempi brevi e con investimenti ridotti, il gap di connettività e prestazioni che emargina moltissime località del nostro Paese”, ha detto il direttore generale Dina Ravera a pochi giorni dal lancio. In fondo, la lotta al digital divide è favorita anche dal poter contare su nuove frequenze a 1800 MHz e su una tecnologia mobile più evoluta, in grado di fornire più banda a parità di MHz utilizzati rispetto al 3G.
Quanto a Telecom Italia, è l’operatore che al momento copre il maggior numero di città con Lte, anche se per ora senza una particolare enfasi per il digital divide. Wind partirà nei prossimi giorni a Roma e Milano e non sembra avere le zone rurali e periferiche tra le priorità dichiarate. Insomma, siamo ancora nelle prime fasi dell’Lte ed è presto per dire come evolverà al di fuori delle grandi zone urbane.
Certo, molto dipenderà dallo sviluppo della domanda, ma anche i piani pubblici avranno un ruolo. Per cominciare, attraverso i bandi di gara appena avviati contro il digital divide. Vodafone dichiara che li sta valutando: potrebbe partecipare, proponendo insomma di coprire con Lte, invece che con fibra e Adsl, alcune zone indicate nei bandi. Sarebbe la prima volta che una tecnologia non di rete fissa riceve un incentivo pubblico. Telecom Italia propende più per l’uso di tecnologie tradizionali, invece.
Tuttavia, a quanto risulta, sia Telecom sia Vodafone condividono un’idea: sarebbe auspicabile che entrassero in gioco fondi pubblici per incentivare gli operatori ad anticipare il rispetto degli obblighi Lte. Del resto, sarebbe un modo per sanare uno scollamento temporale: gli obblighi si riferiscono al 2017 ma il piano nazionale banda larga promette di colmare il digital divide entro il 2014 (in precedenza mirava al 2013). Come si vede, molte pedine- pubbliche e private- hanno appena cominciato a poggiarsi sulla scacchiera. Certo non si è mai visto un così gran numero di attori e di tecnologie in azione per l’obiettivo di portare la banda larga a tutta la popolazione italiana.