Tecnologia e diritti umani, un binomio “a doppia faccia”. Se da una parte le innovazioni, qualora non monitorate, possono produrre forme di controllo sempre più capillari ed invasive nella sfera privata degli individui, mettendo in discussione consolidati diritti e libertà fondamentali; dall’altra possono diventare un formidabile strumento per rafforzare e proteggere al meglio quegli stessi diritti.
Secondo l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), ad esempio, la diffusione sempre più capillare del digitale ha prodotto la creazione di nuovi spazi online – molto spesso alternativi ai luoghi “tradizionali” – per l’esercizio di diritti fondamentali quali la libertà di espressione, di riunione e di associazione, con grande impatto soprattutto nei Paesi in cui quei diritti sono repressi. “La disponibilità di nuovi luoghi di aggregazione e dialogo online ha consentito anzitutto la diffusione di dati e informazioni sulla condizione di tali paesi e, soprattutto, il rafforzamento di azioni volte a garantire la tutela concreta di tali diritti”, spiega in uno studio l’organizzazione internazionale.
Gli effetti negativi della digitalizzazione
Ma, come accennato, la trasformazione digitale comporta altrettanti pericoli che possono impattare in maniera importante sulla tutela e l’esercizio delle libertà fondamentali. Ancora l’Ocse evidenzia come, a fronte della mole di informazioni scambiata online, aumentano disinformazione e fake news determinando una forte polarizzazione dell’opinione pubblica. E inoltre, la diffusione di strumenti digitali per l’attivismo civico può emarginare alcuni gruppi demografici che non sono in grado di impegnarsi sulla Rete che – sappiamo – possiede una forza divulgativa come mai altri strumenti in passato.
Da non dimenticare il fatto che la pandemia da Covid-19 ha portato gli Stati all’utilizzo massivo di sistemi di sorveglianza per frenare la diffusione del virus. E anche se il ricorso a tali tecnologie è stato giustificato dalla crisi sanitaria, il rischio di abuso è molto alto, come segnalato di recente anche dall’Onu, secondo cui ciò che oggi viene tollerato per via dell’emergenza potrebbe divenire “normale” una volta superata la crisi, e ciò senza aver adottato adeguate tutele per evitare discriminazioni, intrusioni ingiustificate o altre violazioni dei diritti dell’individuo.
Arginare gli effetti negativi e valorizzare quelli positivi
Che fare per mettere a valore le potenzialità del digitale, provando ad arginarne gli impatti negativi, dal controllo massivo alla polarizzazione dell’opinione pubblica fino alla marginalizzazione di alcuni gruppi sociali?
Nel rapporto annuale sull’applicazione della Carta dei Diritti Fondamentali la Commissione europea delinea le sfide della tutela dei diritti nella digital age, a cominciare da quelle poste dell’intelligenza artificiale e dal digital divide.
- Intelligenza artificiale. Come si sa, i sistemi di AI possono certamente portare grandi benefici, ma al contempo rischi soprattutto legati allo sviluppo dell’algoritmo che li governa nonché ai bias che li “animano”. L’Artificial Intelligence Act della Commissione europea definisce varie aree di intervento di sistemi AI: applicazioni proibite perché causa di rischi “insopportabili” per i diritti e le libertà fondamentali; applicazioni ad alto rischio (non proibite ma sottoposte a specifiche condizioni per gestire i rischi); applicazioni a rischio limitato e altre applicazioni a rischio trascurabile. A differenza dei sistemi AI proibiti, i sistemi AI classificati come “ad alto rischio” non sono vietati di default, ma soggetti a diversi obblighi di conformità. Questi obblighi includono, tra gli altri, un piano di gestione del rischio, una certificazione di conformità, un piano di gestione dei dati, la supervisione umana.
- Il digital divide. Bruxelles riconosce l’impegno degli Stati membri nel superare il divario infrastrutturale, che hanno tutti varato piani di roll out delle reti in fibra, 5G e tecnologia mista come l’Fwa. Quest’ultima tecnologia, in particolare, è un driver importante non solo per accelerare l’infrastrutturazione in sé ma anche per consentire alle comunità di esercitare diritti fondamentale di cittadinanza, come l’istruzione e la sanità. Il più grande vantaggio di una connessione Fwa, infatti, è quello di poter avere Internet ad alta velocità anche nei Comuni non ancora raggiunti dalla fibra ottica “fisica”, cioè quella stesa sottoterra lungo le strade. Tramite le onde radio, infatti, si possono raggiungere i comuni non ancora coperti dal servizio fisso e portare la banda larga fino a 100 Mbit teorici. In Italia sono attivi operatori come Eolo che puntano a coprire le zone remote e i piccoli Comuni, soprattutto in ottica di inclusione sociale.
Il nodo competenze
Ma l’infrastrutturazione non basta a raggiungere gli obiettivi di inclusione sociale, se non adeguatamente accompagnata da una diffusione, la più capillare possibile, delle competenze. Per quanto riguarda i cittadini ridurre il digital divide significa anche sviluppare skill utili ad esercitare i diritti di cittadinanza digitale e garantire una partecipazione democratica più ampia possibile. Come? Investendo sulla formazione e la scuola a tutti i livelli ma anche supportando le imprese nel processo di innovazione digitale. L’obiettivo è duplice: formare cittadini in grado di sfruttare le potenzialità del digitale e al contempo lavoratori “spendibili” in un mercato del lavoro in velocissima trasformazione.
Nel nostro Paese “Italia digitale 2026”, la strategia nazionale competenze digitali, e il Pnrr sono strumenti di indirizzo importanti che ci aiutano a fissare obiettivi chiari e porre in essere azioni volte al loro raggiungimento.
Repubblica Digitale, invece, è l’iniziativa strategica nazionale che, rivolgendosi a PA, cittadini e imprese, ha l’obiettivo di combattere il divario digitale culturale presente nella popolazione italiana, sostenere la massima inclusione digitale e favorire l’educazione sulle tecnologie del futuro.
L’accesso a Internet, e più precisamente la connessione come diritto, insieme alla possibilità di sviluppare competenze adeguate a vivere nella digital society è dunque un tema che le nostre democrazie devono porsi molto seriamente. La transizione digitale deve colmare e non aumentare le disuguaglianze. E il digitale dev’essere uno strumento di inclusione e non di esclusione.
Il ruolo dei player del settore
Per supportare una diffusione del digitale virtuosa e che non sia dannosa per le persone e la società, è necessario che tutti gli attori dell’ecosistema tecnologico, dalle istituzioni alle aziende di settore, si impegnino concretamente per guidare gli individui attraverso il processo di transizione digitale che sta interessando il mondo intero in tutti i suoi aspetti. È con questo spirito che Eolo, anche in qualità di Società Benefit, ha realizzato un progetto video pensato appositamente per facilitare e rendere sicuro l’approccio al mondo della rete per una fascia di popolazione ampia ed eterogenea. In particolare, l’iniziativa si compone di due anime. La prima, pensata per gli over 65, ha l’obiettivo di aiutare la fascia di età generalmente meno pratica di internet a orientarsi e muovere i primi passi nel web. La seconda, indirizzata ad un pubblico under 18, vuole invece fungere da manuale d’uso per un corretto utilizzo della rete e dei suoi infiniti strumenti, per guidare i giovani attraverso le possibili insidie che si nascondono in rete e aiutarli a beneficiare, invece, dei numerosi vantaggi che il mondo digitale ha da offrire loro. È questo il caso del primo video, U18_02 Fake news, real casini, che, dal rischio diffamazione alla condivisione consapevole, passando poi per le fake news e la violazione della privacy, analizza diverse situazioni in cui i giovanissimi potrebbero trovarsi e propone alcuni consigli su come affrontarle. I video verranno pubblicati con cadenza settimanale e saranno disponibili sul canale Youtube e Linkedin di Eolo.