Separare o non separare la rete dai servizi? E quale deve essere il ruolo dello Stato nella partita Tim? Bisogna rinazionalizzare o è sufficiente una governance forte? Sul “dossier Tim” intervengono gli ex amministratori delegati dell’azienda Franco Bernabè e Vito Gamberale, due nomi forti nella storia dell’azienda.
Bernabè: “Separazione della rete inevitabile”
“Mi sembra che arrivi a compimento un processo che probabilmente andava fatto tanti anni prima”. Ha dichiarato Bernabè all’Adn Kronos riferendosi al piano che prevede la separazione di reti e servizi ossia della creazione delle due newco NetCo e ServCo. E il manager, oggi alla presidenza di Acciaierie d’Italia, considera inevitabile il ritorno dell’azienda nell’orbita pubblica. “Al punto in cui siamo è inevitabile, più che auspicabile. Inevitabile perché due reti in competizione non sopravvivono”. Le due società protagoniste del progetto di rete nazionale – Tim e Open Fiber – secondo Bernabè hanno entrambe bisogno di unire le forze. “Bisogna ridare spazio finanziario e di crescita alla rete oggi. Non si possono duplicare gli investimenti”. E ricorda di essere stato il primo a ipotizzare una separazione della rete dai servizi “con la creazione di Open Access, che era l’isolamento della rete all’interno di Tim: poi avevo previsto di fare la società”.
Gamberale: “Con lo scorporo l’azienda sarà fatta a fette”
Sullo scorporo non concorda l’ex Ad Vito Gamberale: “Lo scorporo significa fare a fette l’incumbent italiano e vendere gli asset. Questa realizzazione della Rete è stata propagandata come un atto fideistico, all’insegna del creiamo valore per gli azionisti più che posta come una scelta dal punto di vista industriale. La separazione è vista come una operazione che tende a separare il cervello, ossia la rete, dal servizio. Ma la rete scissa dai servizi è come togliere il cervello a un corpo. E poi la separazione della rete darebbe grossi problemi di efficacia del servizio anche agli altri numerosi operatori presenti in Italia, non solo a Tim”, ha spiegato Gamberale a La Presse. Gamberale evidenzia inoltre come l’Italia sia l’unico Paese Europa “che nell’azionariato del proprio incumbent non ha una presenza attiva pubblica. In Francia lo Stato oggi in Orange è presente al 30% direttamente. Altrettanto avviene in Germania e anche in Spagna, attraverso le istituzioni finanziarie locali, a carattere Istituzionale. La separazione della rete e la vendita è una cosa che è stata fatta in Islanda e Danimarca, Paesi con una superficie e una popolazione ridotta, ma non è stata mai in discussione in nessun grande Stato”. E aggiunge che “fino a oggi nelle telecomunicazioni nei vari Paesi c’è un incumbent integrato, che mantiene cioè la proprietà della rete per le telecomunicazioni”.
Il Governo Meloni potrebbe mettere fine a una vicenda lunga 20 anni
E sul ruolo del Governo sostiene che “dovrebbe avere il coraggio e l’orgoglio di porre termine a questa odissea societaria, recuperando il controllo dell’incumbent facendo un’opera di riassetto. La rete ha già una separazione funzionale con un conto economico apposito. Questo governo ha di fronte uno snodo: recuperare tutto ciò che non è stato fatto in oltre 20 anni oppure permettere un assalto definitivo, perdendo una presenza organica nelle tlc, come avvenuto nell’ elettronica, nel nucleare, nella siderurgia e in altri settori, dove servirebbe invece una visione dello Stato che ne contempli una sua presenza importante nelle grandi aziende strategiche, come è per Eni, Enel, Leonardo”.
L’offerta Cdp-Macquarie sul tavolo del cda del 15 marzo
Si riunisce cda mercoledì 15 marzo il cda di Tim chiamato a una prima disamina dell’offerta non vincolante da circa 18 miliardi presentata da Cdp e Macquarie – valida fino al 31 marzo – alternativa a quella di Kkr da 20 miliardi che resterà valida fino al 24 marzo a anche se il borad l’ha già valutata “insoddisfacente” riguardo alla valorizzazione degli asset di rete. E Vivendi si è già esposta anche su quella di Cdp-Macquaire nella stessa direzione.