Ma come reagiscono le aziende alla “morte” dei
telecomunicazionisti? Il calo delle iscrizioni ai corsi di laurea
in Tlc in Italia è un trend iniziato con lo scoppio della bolla
della e-economy e che si è confermato anche in anni recenti.
“Proprio la conferma del trend non può essere dovuta all’eco
di quell’evento: sono passate troppe generazioni di studenti –
commenta Roberto Castelli, responsabile partnership di
Alcatel-Lucent con le università -. Molti sembrano percepire le
Tlc come qualcosa di statico e non percepiscono quanto il settore
si innovi. Al tempo stesso, però, c’è un problema di fondo:
nonostante quello che sembrano indicare certe statistiche, il
mercato non è così ampio. In Italia sono rimaste poche aziende,
sia manifatturiere che gestori, a fare ricerca sulle Tlc. Per
questo negli ultimi anni in molti possono aver percepito che il
settore era saturo”.
Una situazione che potrebbe cambiare se si avviasse la Ngn
nazionale. “Una situazione del genere svilupperebbe il settore
sotto molteplici punti di vista – continua Castelli -.
Apparecchiature, infrastrutture, servizi. Renderebbe necessarie
competenze diverse, ridarebbe visibilità al settore. Anche fuori
dagli addetti ai lavori, se si pensa ai piani di digitalizzazione
della PA”.
Una posizione in parte condivisa da Stefano Pileri, Chief
Technology Officer di Telecom Italia e presidente di Confindustria
Servizi innovativi e tecnologici. “Ingegneria delle Tlc fornisce
agli studenti la maggior parte dei contenuti che un’azienda come
Telecom Italia cerca – ci ha spiegato Pileri -. Il mercato, però,
con la riduzione dei margini, è cambiato ed è diventato meno
ricettivo negli ultimi anni. Ma soprattutto sta diventando un
mercato in cui non ci si occupa solo di reti, ma si inseriscono
nuovi contenuti”. In particolare aziende e università dovrebbero
cavalcare questo cambiamento inserendo, assieme alle Tlc, sempre
più tematiche relative all’informatica e ai media digitali.
“Specialmente considerando che il settore R&D in questi campi sta
sparendo dall’Italia, sarebbe auspicabile se le università,
aiutate dalle aziende, cercassero di creare una nuova figura, che
potrebbe essere definita come l’ingegnere dell’Ict o
dell’Ictd, se vogliamo considerare anche i media digitali”.