Con i risultati della Consultazione pubblica Infratel 2015 resi noti dal ministero dello Sviluppo Econoico i piani degli investimenti degli operatori in fibra ottica al 2018 e a una prima analisi risultano al ribasso rispetto alle dichiarazioni su cui si è basato il piano banda ultra larga governativo.
I dati rivelano quindi che le risorse pubbliche avranno una importanza ancora maggiore del previsto, per raggiungere gli obiettivi europei al 2020. Per la prima volta il territorio nazionale è stato suddiviso in 94.645 aree per ottenere una maggiore granularità e precisione dell’indagine. Gli operatori consultati sono 30, contro i sette dell’anno scorso.
Secondo i dati della consultazione 2015, nel 2018 il 36,3 per cento delle unità immobiliari non sarebbe collegato ad alcuna rete a banda ultralarga, mentre solo il 21,42 per cento del totale sarebbe collegato in modalità FTTB/FTTH/FTTDP. “Ricordiamo che gli obiettivi del Piano nazionale banda ultralarga prevedono il 100 per cento collegato a 30 Mbps e l’85 per cento del territorio a 100 Mbps entro il 2020″, dice il ministero dello Sviluppo economico in una nota.
Nel Sud avrà la banda ultra larga il 75% della popolazione al 2018, grazie agli investimenti pubblici già attuati o programmati (con le risorse 2007-2013). Al Nord invece i valori sarebbero inferiori al 50 per cento, al netto del nuovo piano banda ultra larga, che quindi con le risorse pubbliche dovrà metterci la differenza.
Spicca anche il fatto che le dichiarazioni degli operatori sono al ribasso rispetto a quelle fatte per il piano banda ultra larga. Insomma, il Governo scopre che intendono investire meno del previsto. Così si spiega che questa rimodulazione del piano, ora annunciata dal ministero, a fronte appunto dei risultati della consultazione:
Rispetto alla consultazione dello scorso anno, “le unità che passano dai Cluster C e D (a “fallimento di mercato”) ai cluster A e B sono pari a 415.000 (l’1,5 per cento del totale), mentre le unità immobiliari che passano dai cluster A e B al cluster C sono pari a circa 1,4 milioni (il 5 per cento del totale)”. Insomma, le aree pregiate (A e B), dove gli operatori investiranno molto, si riducono e crescono quelle dove lo Stato dovrà investire. In sostanza, gli investimenti degli operatori si concentrano sempre di più sulle aree più redditizie. La regione più attraente in assoluto è il Lazio, mentre quella meno gettonata dagli operatori è il Molise. Al 2018, comunque, le due regioni più virtuose saranno Puglia e Calabria, già oggetto di importanti piani di digitalizzazione.
Un indizio di questa situazione era già possibile rinvenirlo nelle parole di Antonello Giacomelli (Mise) e Angelo Cardani (Agcom) all’evento EY di Capri: il primo che invitava gli operatori a investire e il secondo che denunciava la loro scarsa reattività.
Tuttavia, forse sui dati odierni pesa il quadro complessivo incerto per il ruolo del pubblico (nelle aree nere, in particolare, e in merito all’Ftth) e quindi gli operatori preferiscano essere prudenti. Resta insomma possibile che i piani di investimenti potranno essere rivisti al rialzo in seguito. Sono però questi i dati su cui ora il Governo dovrà calibrare la propria strategia di intervento pubblico.