I gestori non ne parlano volentieri, l’argomento è scomodo e
impopolare. I comitati cittadini contro l’“elettrosmog”sono
dietro l’angolo. Eppure, in Europa il limite sulla base delle
indicazioni dell’Icnirp (International Commission on Non-Ionizing
Radiation protection) è di 61 V/m, valore molto più alto di
quanto permesso nel nostro Paese. I campi elettromagnetici sono un
rischio per la salute della popolazione? La scienza dice di no. Ne
abbiamo parlato con Guglielmo D’Inzeo, professore del
Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Elettronica e
telecomunicazioni (Diet) all’Università Sapienza, uno dei
massimi esperti internazionali di elettromagnetismo.
Sarebbe ragionevole rivedere la normativa italiana, vecchia
di un decennio?
L’unica speranza per modificare il quadro normativo italiano è
riferirsi all’Europa. L’Italia dovrebbe adeguarsi agli standard
europei, passando dai 6 V/m ai livelli previsti dalle norme
europee, che hanno un fondamento scientifico.
I campi elettromagnetici sono un rischio per la
salute?
No. Se si rispettano gli standard proposti a livello internazionale
da commissioni come l’Icnirp, un gruppo internazionale di
ricercatori indipendenti, che sono in contatto costante con l’Oms
(Organizzazione mondiale della sanità). Lavorano per il
monitoraggio degli studi sulle radiazioni elettromagnetiche non
ionizzanti (microonde, radiofrequenze). L’unico effetto accertato
di tali campi è scaldare gli oggetti, come avviene ad esempio con
gli alimenti nel forno a microonde. Se il riscaldamento è
eccessivo, possono surriscaldare i soggetti affaticando il sistema
di termoregolazione.
Come si fissano i limiti di emissione?
L’intensità della sorgente elettromagnetica e il tempo di
esposizione sono i due fattori determinanti per regolare le
emissioni elettromagnetiche. Dagli anni ’70 ci sono normative per
regolare i limiti di emissione. L’Ue ha fissato i limiti per i
paesi membri limitando come suggerito dall’Icnirp la potenza
indotta nei tessuti (espressa in Watt al chilogrammo). I limiti di
emissione indicati sono considerati validi dalla Ue che li ha
adottati all’inizio degli anni 2000. I 6 V/m italiani sono una
riduzione notevole rispetto ai limiti europei. L’Ue può
suggerire dei livelli massimi (raccomandazione), ma i singoli stati
possono abbassare ulteriormente i livelli come hanno fatto
l’Italia e alcuni altri paesi.
Perché in Italia ci sono limiti così stringenti rispetto
all’Ue?
Alla fine degli anni ’90-inizio del 2000, quando si iniziarono ad
installare le stazioni radiobase, si creò un allarme diffuso. Il
Governo decise di ridurre ulteriormente i valori applicando il
principio di precauzione per tranquillizzare la gente, in attesa di
nuovi studi specifici. Che sono stati svolti in questo decennio,
non evidenziando altri fattori di rischio.
E i cellulari, sono un rischio per la salute?
La vera esposizione per la popolazione indotta dalla telefonia
mobile non è dovuta alle stazioni radio base, ma ai cellulari che
sono usati in vicinanza del corpo. Ma anche i cellulari rispettano
gli standard e sono sottoposti a test prima di andare sul mercato.
Ci sono 3 miliardi di cellulari nel mondo. L’Ue finanzia un
elevato numero di ricerche per valutare i possibili pericoli per la
salute. Nessuno di questi studi ha dato indicazioni di rischi
diversi dal riscaldamento.
Nemmeno Interphone, il più vasto studio epidemiologico pubblicato
a inizio 2010, ha indicato connessioni con l’insorgere di
possibili tumori indotti dall’uso dei telefonini.
E le stazioni radio base?
L’emissione è insignificante. Migliaia di volte più bassa dei
valori previsti dalle normative. Solo a pochi metri dall’antenna
si possono raggiungere i valori limite previsti dalla legge
italiana, poi il campo si attenua notevolmente man mano che ci
allontana dall’antenna.
E il cositing, è una soluzione positiva?
Tende ad aumentare i valori localmente e quindi può essere
limitato dalla normativa italiana. Oggi i gestori sono spinti ad
utilizzarlo per condividere gli investimenti connessi ai nuovi
siti.