Si scalda la partita tra Vivendi ed Elliott sul futuro di Tim. All’indomani della richiesta del fondo di Paul Singer di integrazione all’odg dell’assemblea del 24 aprile per la revoca dei 6 consiglieri espressione dei francesi, Vivendi passa al contrattacco. In una nota diffusa oggi evidenzia come non sia sicuro che “il piano (del fondo Elliott ndr) per smantellare il gruppo e destabilizzare le squadre creerà valore”. Definendo nella stesso comunicato il fondo come “un hedge fund ben conosciuto per le sue iniziative di breve termine”, Vivendi assicura comunque che “esaminerà con mente aperta i commenti” espressi da Elliott.
Vivendi sottolinea inoltre come il piano industriale presentato dall’amministratore delegato Amos Genish e dalla sua squadra sia “forte e promettente per il futuro” e che “le iniziative prese in questi ultimi trimestri hanno già dato frutto e sono state accolte dagli investitori”.
Intanto il fondo americano scrive agli azionisti di Tim per comunicare la sua quota: Elliott – si legge nella comunicazione – ha complessivamente una partecipazione in Tim superiore al 5%. In particolare, detiene “oltre il 3% delle azioni ordinarie” di Tim, che si vanno a sommare “ad altri strumenti finanziari, il che significa che Elliott detiene un interesse divulgabile per oltre il 5% delle azioni ordinarie della società”, si legge nella lettera.
Per Elliott “esiste un chiaro percorso per trasformare Tim, migliorando la sua governance e realizzando il potenziale dell’azienda”. In particolare, le critiche al management sotto la guida di Vivendi si concentrano su “sottoperformance del titolo azionario consistente e persistente, fallimenti strategici, gestione della corporate governance e conflitti di interesse”. Il fondo sostiene che “il valore delle azioni di Tim sia diminuito di oltre il 35% da quando i nominati di Vivendi hanno aderito al consiglio di amministrazione di Tim nel dicembre 2015”. Elliott “non vuole il controllo di Tim, ma soltanto catalizzare il cambiamento per assicurare che la compagnia sia gestita per il beneficio di tutti gli azionisti”. Per questo ha presentato una lista con sei candidati “altamente qualificati”, sottolinea la lettera, un “passo per raggiungere questo obiettivo”.
Proprio in quest’ottica ha avanzato la richiesta di integrazione dell’ordine del giorno dell’assemblea di Tim del prossimo 24 aprile per inserire la proposta di revoca di sei amministratori: Arnaud Roy de Puyfontaine, Hervè Philippe, Frederic Crepin, Giuseppe Recchi, Felicitè Herzog e Anna Jones e la nomina invece di Fulvio Conti, Massimo Ferrari, Paola Giannotti De Ponti, Luigi Gubitosi, Dante Roscini e Rocco Sabelli, in sostituzione di quelli revocati.
Elliott non ha chiesto la revoca del ceo, Amos Genish, di nomina Vivendi e unico non-indipendente a rimanere nel cda se le proposte di Elliott saranno approvate. Ciò dipende dal fatto che Genish è stato cooptato in consiglio a settembre e quindi la sua nomina è già oggetto di votazione in assemblea. “Potrebbe però suggerire il supporto di Elliott per il ceo, che ha la responsabilità di portare avanti il piano 2018-2020 appena presentato al mercato, e che gode di un ottimo track record e della profonda conoscenza del mercato brasiliano”, ipotizzano gli analisti di Equita.
In sintesi la proposta che il fondo Elliott fa agli azionisti nella lettera odierna indirizzata agli azionisti in cui ipotizza anche la vendita o cessione di una quota di Sparkle è quella di ampliare la base azionaria di Tim. Elliott ritiene che “l’autonoma quotazione o la parziale vendita di NetCo, a seguito di scorporo, ne massimizzerebbe il valore con conseguente riduzione dell’indebitamento ed apporto di benefici per tutti i soci di Tim. Nonostante l’attuale Consiglio abbia approvato il progetto di separazione volontaria della rete fissa di accesso, la società – osserva il fondo Usa – rimane saldamente indirizzata al suo possesso. Per contro, noi riteniamo che ampliare la base azionaria di NetCo potrebbe creare valore per i soci di Tim e accelerare la creazione di un’unica rete nazionale”.
“Il nostro intento sarebbe di incoraggiare il nuovo Consiglio a prendere in esame: lo scorporo e la cessione di una quota di NetCo, pur continuando a detenerne una partecipazione; la vendita o cessione di una quota in Sparkle; l’utilizzo dei proventi per ridurre la leva finanziaria che grava su Tim; il ritorno alla distribuzione di dividendi” conclude il fondo.
Il fondo focalizza l’attenzione anche sul controllo di Vivendi su Tim. Tra gli “svariati esempi recenti di come Vivendi abbia esercitato il proprio controllo a detrimento dei divergenti interessi dei soci di minoranza” di Tim il fondo Elliott cita anche il rapporto della società francese con Mediaset. Nella lettera odierna agli azionisti il fondo Usa cita anche il fatto che la Commissione Europea abbia accertato che “il controllo di fatto di Vivendi sulla Società unito alla detenzione di una partecipazione rilevante in Mediaset integra una concentrazione orizzontale e verticale vietata. Per risolvere tale situazione, Vivendi ha costretto Telecom a cedere il 70% della partecipazione in Persidera. La cessione – prosegue la lettera – è previsto avvenga ad opera di un terzo non vincolato ad attenersi ad un prezzo minimo. Non comprendiamo davvero come tale processo possa massimizzarne il valore a vantaggio dei soci”. Vivendi poi “ha violato la legge Gasparri, venendo a detenere sia una partecipazione di controllo nella Società sia una ampia partecipazione in Mediaset, circostanza che ha ulteriormente compromesso la relazione di Vivendi con il regolatore e con le altre autorità ed istituzioni italiane” prosegue il fondo. Inoltre “la relazione tesa tra Vivendi e Mediaset limita la possibilità di acquisto di contenuti cruciali per la Società”.
Nella lettera viene anche citato il fatto che “la proposta di joint venture tra Tim e Canal Plus è stata inizialmente trattata dal Consiglio come operazione con parti correlate di ‘minore rilevanza’, evitando così ab origine la richiesta del parere vincolante degli amministratori indipendenti. Di conseguenza, gli amministratori indipendenti ed i sindaci hanno reiteratamente sollevato la questione. Solo a seguito dell’interessamento di Consob, – prosegue la lettera – Tim ha riqualificato la joint venture quale operazione con parti correlate di ‘maggiore rilevanza'”. E ancora, tra gli altri punti che a giudizio di Elliott dimostrano il conflitto di interessi di Vivendi nella lettera si sottolinea che la società “ha cambiato due amministratori delegati di Tim in due anni, spendendo 25 milioni di euro per la sola liquidazione di Flavio Cattaneo, avvenuta dopo soli 16 mesi dall’assunzione dell’incarico e nonostante il Collegio Sindacale avesse espresso parere negativo in merito al piano di compensi”.
Elliott potrà chiedere nuove integrazioni all’ordine del giorno fino al 20 marzo. Tim ha già annunciato che convocherà una riunione del consiglio di amministrazione nei prossimi giorni.
Tra le potenziali mosse difensive di Vivendi gli analisti di Banca Imi non escludono le dimissioni della maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione per far cadere tutto il consiglio e convocare una nuova assemblea degli azionisti, il che consentirebbe di prender tempo per presentare le liste per la nomina di un nuovo cda. Non si esclude nemmeno che il presidente, Arnaud de Puyfontaine, possa decidere di sospendere i suoi poteri per mantenere una posizione neutrale.
Intanto Tim finisce nel mirino Antistrust che ha sanzionato la compagnia per pratica commerciale scorretta. “Nelle campagne pubblicitarie inerenti l’offerta commerciale di connettività in fibra ottica (cartellonistica, sito web, below the line e spot televisivi), Telecom Italia, a fronte del ricorso a claim volti a enfatizzare l’utilizzo integrale o esclusivo della fibra ottica e/o il raggiungimento delle massime prestazioni in termini di velocità e affidabilità della connessione, ha omesso di informare adeguatamente i consumatori circa le reali caratteristiche del servizio offerto e le connesse limitazioni (in particolare i limiti geografici di copertura delle varie soluzioni di rete, le differenze di servizi disponibili e di performance in funzione dell’infrastruttura utilizzata per offrire il collegamento in fibra)”, spiega l’Agcm.
Le diverse campagne pubblicitarie inoltre hanno omesso o comunque indicato in modo non sufficientemente chiaro che, per raggiungere le massime velocità pubblicizzate, fosse necessario attivare un’opzione aggiuntiva a pagamento. Dunque il consumatore non è stato messo nelle condizioni di individuare gli elementi che caratterizzano l’offerta.