Alla fine l’amministratore delegato di Enel Francesco Starace ha tratto definitivamente il dado: Enel sarà protagonista della fibra ottica italiana, nelle aree a fallimento di mercato, ma anche in quelle dove la domanda c’è o prevedibilmente ci sarà.
E lo farà con una sola società, l’Enel Open Fiber affidata alle mani esperte di un veterano delle telecomunicazioni come Tommaso Pompei.
Non si può dire che sia stato un parto facile, nonostante se ne parli ormai da quasi un anno (le prime voci datano aprile 2015) e la decisione di costituire una società ad hoc sia stata presa dal consiglio di amministrazione di Enel tre mesi fa, il 12 novembre 2015.
Eppure, fino a ieri sera tutto sembrava ancora incerto, se non addirittura rimesso in discussione. Del resto, dopo mesi di attesa non ha ancora visto la luce il business plan della fibra targata Enel.
Il fatto è che Starace si è trovato immerso in un mare dalle acque molto più incerte di quanto non immaginasse quando ha colto al balzo la necessità di cambiare i contatori obsoleti (l’Enel ne ha oltre 30 milioni, anche se non tutti da sostituire) per approfittarne e rilegarli con la fibra ottica.
Adatta (ma non indispensabile) per rendere smart la rete elettrica e per trasportare nel contempo i bit di tlc fino in casa. Negli appartamenti, là dove ci sono i contatori, oppure nel basamento degli edifici. Un nuovo business per integrare quello tradizionale elettrico, inevitabilmente destinato a una crescita limitata. E, se in Italia funzionerà, per replicare il modello altrove nel mondo dove l’Enel è presente.
Ma gli osti con cui Starace ha dovuto fare i conti in questi mesi sono stati più numerosi del previsto. Hanno certamente pesato nella costruzione del business plan le valutazioni sui costi di posa, così come le problematiche relative alla stessa realizzabilità tecnica delle soluzioni immaginate per adattare le rete elettrica e le cabine elettriche ai nuovi compiti di trasportatori di segnali ottici.
Hanno rilevato anche le incertezze a livello regolatorio. Ad esempio, i paletti posti dall’Autorità per l’energia per la quale vanno cambiati solo i contatori con oltre 15 anni di esercizio: molti, ma certamente non tutti i 30 milioni in esercizio. E permane ancora l’incertezza su prezzi e criteri che Agcom deciderà per l’offerta wholesale di connessioni ultrabroadband nelle nuove reti. Dati indispensabili per poter stendere un business plan realistico.
Ad alimentare le incertezze è stato anche un quadro politico non sempre chiaro ma piuttosto cangiante. Quanti soldi avrebbe messo lo Stato nelle aree per supportare i privati nella costruzione delle nuove reti nelle aree a fallimento di mercato? Come avrebbe reagito l’Unione Europea? Con chi si sarebbe alleata Metroweb? Cosa avrebbe fatto Telecom? E gli Olo?
Apparentemente in discesa, la corsa di Starace era in realtà in salita. Poi, a inizio gennaio è arrivata una prima fondamentale certezza: sarà lo Stato a costruire da solo la rete broadband nelle aree C e D. E di essa avrà la proprietà.
Enel non se lo aspettava, ma ha fatto buon viso a cattivo gioco. Costruire la rete (ovviamente dopo avere vinto le gare), gestirla e manutenerla e quindi affittarla appare comunque a Starace un business interessante, anche se Enel Open Fiber dovrà dotarsi di tutte le competenze e le risorse necessarie (e si tratta di migliaia, non di centinaia di persone).
Nelle aree C e D Starace è convinto di portarsi a casa le gare perché Enel parte da una posizione di forza rispetto ad attori come Telecom, anche grazie alla ramificazione delle proprie infrastrutture elettriche, ad esempio le reti di aeree di trasporto nelle zone più periferiche. E dove c’è meno domanda, prezzi e condizioni permettendo, Patuano e Recchi sembrano disponibili ad affittare la rete piuttosto che costruirla.
“Una volta che Enel Open Fiber opera nelle aree C e D, tanto vale provare ad andare anche nelle aree A e B, almeno nelle città dove siamo presenti con la nostra rete di distribuzione”, si sono detti in Enel. Per costruire tenendo la proprietà, stavolta. Preferibilmente con altri: Metroweb in primis, se l’azienda milanese non trova la quadra con Telecom, oppure con operatori come Vodafone e Wind.
Avere dietro un operatore telefonico per Enel sarebbe un plus importante. Non solo per cofinanziare la costruzione delle nuove reti, ma anche per avere la sicurezza che una volta fatta, la rete ultrabroadband verrà accesa almeno per i clienti dell’operatore partner.
Le conseguenze di tutto ciò? Nelle aree a fallimento di mercato avremo una rete pubblica. Dove invece la domanda di fibra potenzialmente esiste, avremo probabilmente due reti ultrabroadband, almeno nelle città dove c’è la rete Enel: quella di Telecom e, appunto, quella di Enel Open Fiber da affittare ai concorrenti di Telecom.
Ovviamente, molte pedine devono ancora andare nell’incastro giusto. Ma la direzione pare segnata. Quali siano gli umori dalle parti del governo lo ha capito benissimo chi ieri sera era presente al Maxxi di Roma dove è stato presentato il nuovo brand dell’Enel e dove Starace, accompagnato da Pompei, ha approfittato (certamente non a caso) della presenza dei giornalisti per fare le sue “esternazioni” sulla fibra. In sala c’erano tra gli altri il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, il consulente di Renzi per l’ultrabroadband Raffaele Tiscar, il presidente di Metroweb Franco Bassanini. Bastano?