Non è vero che l’Europa sta accumulando colossali ritardi al cospetto di attori globali come Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti nell’adozione e la diffusione delle reti di comunicazione più avanzate. A sostenerlo è uno studio appena sfornato dal Dipartimento “Economic and Scientific Policy” del Parlamento europeo su indicazione della commissione Industria, Ricerca ed Energia (Itre) della stessa assemblea di Strasburgo. Elaborato con il contributo di un pool di analisti indipendenti sotto la supervisione del giovane funzionario del PE Fabrizio Porrino, il rapporto considera “in qualche modo esagerate” le geremiadi mediatiche e annesse teorie decliniste che descrivono un continente sempre più al palo in termini di infrastrutture digitali.
Basterebbe ricordare la fotografia implacabilmente tetra sullo stato delle telecom europee con cui il commissario per l’agenda digitale Neelie Kroes ha voluto accompagnare, e corroborare, la recente presentazione del pacchetto “Connected Continent”. Proprio con questa proposta legislativa lo studio dell’Europarlamento sembrerebbe voler interloquire quando conclude che “non è necessaria alcun radicale cambiamento nelle politiche europee”. E la ragione è che le circostanze invitano piuttosto ad “un cauto ottimismo quanto ai progressi dell’Europa nella banda larga al confronto di altri paesi”.
Innanzitutto, rilevano gli autori, “la copertura della banda larga di base in Europa è quasi totale (pur restando alcuni gap nei nuovi stati membri) e la sua adozione sostanziale”. E si può anche fare a meno di quel “quasi”, tenuto conto che in mattinata Neelie Kroes ha annunciato con soddisfazione il raggiungimento del 100% di copertura, grazie al decisivo impiego della tecnologia satellitare. Questo conferisce all’Ue un imbattibile primato mondiale: “come nota un recente rapporto della Broadband commission – ricorda il rapporto – i primi dieci paesi del pianeta per penetrazione di banda larga fissa sono tutti europei con la sola eccezione della Corea del Sud”. Anche a volere allargare la prospettiva ai primi venti, l’egemonia del Vecchio Continente si fa ancor più granitica, appena scalfita dalle incursioni di Canada (al 12esimo posto), Hong Kong (17esimo) e Stati Uniti (20esimo).
Certo, a controbilanciare questi dati ci pensano le obiettive lacune con cui l’Ue deve fare i conti nel campo delle reti di nuova generazione. Lacune che però, secondo il rapporto, meritano di “essere meglio contestualizzate”. In parte, è la spiegazione, perché “la larghezza di banda non può essere solo ridotta ad una questione di velocità di connessione nominale. In paesi come Giappone e Corea del Sud la banda offerta ai clienti è molto minore rispetto alla velocità di connessione”, mentre “negli Stati Uniti resta sempre più ridotta al paragone di svariati stati Ue”.
Infine, a completare il quadro, interviene il nodo dei prezzi: “che per la banda larga risultano tra i più bassi del mondo”, rammenta lo studio citando dati Ocse.
L’analisi si chiude con alcune interessanti raccomandazioni, in specie segnalando la necessità di chiarire più in dettaglio o espandere gli obiettivi dell’Agenda Digitale per l’Europa: “in particolare, il significato di banda larga di base [nell’Agenda Digitale] non è chiaro e non è neppure trasparente se gli obiettivi legati al broadband veloce e ultra-veloce si riferiscano alla velocità nominale o a quella reale”. Inoltre, viene anche suggerito di aggiungere un nuovo set di obiettivi più espliciti sulla banda larga mobile. Lo studio, dal titolo “Entertainment x.0 to Boost Broadband Deployment”, era stato già illustrato due settimane fa ai parlamentari europei membri della commissione Itre in coincidenza con la discussione sulla proposta di regolamento Ue sulla riduzione dei costi per lo sviluppo di infrastrutture broadband ad alta velocità. Si tratta del secondo tassello di un trittico di rapporti con il quale il Parlamento europeo intende passare allo scandaglio “le politiche europee in materia di comunicazioni elettroniche da prospettive diverse o complementari”.