La notizia era nell’aria. Ed ora dalle speculazioni siamo passati ai fatti. Intesa Sanpaolo ha deciso di uscire da F2i reti Tlc, la “newco” in pancia al Fondo di Vito Gamberale in cui il Fondo Strategico Italiano (Fsi) della Cassa depositi e prestiti ha appena annunciato un aumento di capitale per 300 milioni che porta la quota azionaria al 46,2%. Proprio il rafforzamento dell’investimento da parte di Cdp, che ha scelto di finanziare il progetto Ngn di Gamberale piuttosto che quello portato avanti da Telecom Italia, avrebbe di fatto costretto Intesa Sanpaolo a fare una scelta. E sebbene c’è che sostiene che l’uscita di scena sia dovuta all’esaurimento del compito dell’istituto di credito – quello di avviare la start up di Metroweb – di fatto il dissidio venutosi a creare a seguito della virata di Cdp su F2ì Reti Tlc, ha costretto Intesa SanPaolo, azionista anche di Telco (con una quota dell’11%) – la holding che detiene il controllo di Telecom Italia – a lasciare la squadra.
La notizia è stata messa nero su bianco in un articolo del Messagero secondo cui i termini della “separazione consensuale” fra la banca e il Fondo sarebbero già stati definiti. E di qui ai prossimi 15 giorni la questione sarà formalmente definita. Secondo quanto risulta al Messaggero la quota del 12,5% in capo a Imi Investimenti sarebbe dismessa a fronte di un esborso di 20 milioni di euro.
Il tema “Cdp s’ Cdp no” nel progetto di gamberale continua a tenere banco e oggi Dagospia in un articolo sulla questione ha acceso i riflettori sul “conflitto di interessi di Franco Bassanini, Ad di Cdp e al contempo presidente di Metroweb, la società della fibra milanese controllata dal Fondo F2i reti Tlc.
Intanto restano puntati sul “destino” di Telecom Italia: il presidente Franco Bernabè ha già più volte sottolineato che la capitalizzazione del mercato italiano è talmente bassa da consentire l’acquisizione del patrimonio industriale con minime risorse. Secondo le stime messe nero su bianco da Massimo Sideri in un articolo sul Corriere della Srera alle attuali quotazioni per acquisire il 29,9% dell’azienda telefonica italiana (una percentuale sotto la soglia dell’Opa ma più alta rispetto al 22,4% con cui la holding Telco ne detiene il controllo) sarebbero sufficienti appena 3,75 miliardi. E per acquisirne la maggioranza (il 50,1%) l’esborso sarebbe di 6,25 miliardi. E il balletto delle cifre risulta ancora più basso stando ai calcoli indicati in un articolo sul quotidiano La Stampa: il 29,9% varrebbe 2,8 miliardi mentre il 50,1% circa 4,6 miliardi.