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Fair share, Breton: “Strumento legittimo, serve un Telecoms Act”

Il Commissario Ue ribadisce la necessità di un contributo a carico delle grandi piattaforme digitali per spingere la realizzazione delle reti a banda ultralarga. E annuncia per ottobre una legge per normare lo strumento e garantire alle telco il ritorno sugli investimenti: “Sarà pilastro della politica industriale dei prossimi 20 anni”

Pubblicato il 16 Giu 2023

thierry – breton

Il fair share è legittimo ma deve essere inserito in un quadro legislativo più ampio. Il commissario al Mercato Interno, Thierry Breton, in un’intervista a Les Echos ribadisce la necessità che gli Ott contribuiscano allo sviluppo delle reti di Tlc, evidenziando però che non c’è nessuna volontà di aprire un conflitto tra telco e Big Tech.

“Il contributo delle aziende tecnologiche  – ha detto Breton – è legittimo ma non può che essere trattato dentro un contesto più ampio che andremo a definire. E non voglio mettere gli attori interessati l’uno contro l’altro”.

Il Telecoms Act

E’ necessaria dunque una risposta politica alla questione. “Serve un Telecoms Act – ha annunciato Breton – che sarà vettore della politica industriale dei prossimi 20 anni. Lo abbiamo già fatto per il mercato dei semiconduttori, con il Chips Act oppure, per la regolamentazione dei mercati digitali con il Digital Services Act e il Digital Markets Act”.

La legge che sarà presentata in autunno avrà tre obiettivi:

  • promuovere l’R&S nel settore delle Tlc;
  • definire di un quadro legislativo per un mercato unico delle telecomunicazioni nell’Ue;
  • sostenere la nascita di operatori paneuropei.

Questo quadro legislativo sarà la base per garantire alle aziende di telecomunicazioni un ritorno sui loro investimenti.

L’opposizione delle Big Tech

Seconco Meta Platforms, la holding di Zuckerberg che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp, il fair share dovrebbe essere l’ultima opzione per le telco europee che cercano di convincere le Big Tech a contribuire ai costi della rete.

Secondo le aziende tecnologiche, infatti, una simile mossa non risolverebbe i problemi finanziari delle telco e non terrebbe nemmeno conto degli ingenti investimenti delle aziende tecnologiche.

“La Commissione Ue dovrebbe innanzitutto chiedere alle telco,  un impegno con i Pac (fornitori di applicazioni di contenuto) per raggiungere soluzioni tecniche non sovvenzionate”. Inoltre le sovvenzioni “dovrebbero essere assegnate tramite gara d’appalto per garantire la disponibilità a tutti gli operatori di rete, non solo ai grandi”.

“Gli operatori storici che ricevono l’equivalente di salvataggi governativi dovrebbero inoltre essere sottoposti a ulteriori restrizioni, come l’eliminazione dei bonus dei dirigenti, i tetti ai compensi e il congelamento dei dividendi”, ha detto Meta.

Il voto del Parlamento Ue

Il Parlamento Ue ,nella plenaria del 13 giugno, si è espresso a maggioranza a favore di una risoluzione a sostegno del principio senders-pay, ovvero chi manda traffico sulle reti paga.

In pratica, il Parlamento europeo dice sì alla richiesta di istituire “un quadro politico in cui i grandi generatori di traffico contribuiscano equamente al finanziamento adeguato delle reti di telecomunicazioni, fatta salva la neutralità della rete”.

La relazione annuale sulla concorrenza presentata al Parlamento europeo parla della necessità di un approccio di fair share, o equa partecipazione ai costi, soprattutto ora che l’Ue è impegnata a raggiungere gli obiettivi di connettività del Digital Compass 2030. Entro il 2030, tutte le famiglie dell’Ue dovrebbero avere connettività gigabit e tutte le aree popolate dovrebbero essere coperte dal 5G.

La misura senders-pay

Il principio senders-pay accoglie la posizione dei grandi operatori delle reti di telecomunicazione, secondo cui le aziende big tech generano la maggior parte del traffico e raccolgono la maggior parte dei benefici dell’economia di Internet senza pagare i costi delle reti che trasportano quel traffico.

Il principio, basato sul cosiddetto fair share, è stato sostenuto fin dal maggio 2022 dal commissario per il mercato interno Thierry Breton. La Commissione europea ha, poi, avviato una consultazione pubblica nel febbraio 2023 per verificare le posizioni dei diversi interlocutori e la percorribilità di un contributo degli over-the-top ai costi della rete.

Le spaccature nel Consiglio Ue

Ovviamente il principio del fair share ha i suoi detrattori, a partire dalle big tech. Ma anche le organizzazioni della società civile sono critiche, temendo che la proposta sia contraria alla neutralità della rete in quanto richiederebbe di identificare chi genera il traffico internet e qual è la tipologia di traffico generato.

Anche i regolatori delle telecomunicazioni riuniti nel Berec hanno espresso un parere negativo, convinti che l’intervento normativo non sia necessario, perché l’ecosistema di Internet ha mostrato la capacità di adattarsi in passato.

Ma soprattutto, nel Consiglio dei ministri dell’Ue permangono le spaccature su un’eventuale proposta della Commissione europea per “tassare” le big tech. Alla riunione del Consiglio delle telecomunicazioni del 2 giugno, molti paesi dell’Unione hanno chiesto cautela. Al contrario, convinti sostenitori del fair share sono sono Italia, Francia e Spagna, da sempre vicini alle posizioni di Breton.

La posizione del governo italiano

Partecipando al Telco per l’Italia, evento annuale CorCom-Digital360, il sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti, ha espresso dubbi sul fair share perché potrebbe determinare un aumento dei prezzi, limitando la scelta dei consumatori. E in ultima analisi frenare la digitalizzazione.

“Non solo metterebbe a repentaglio i nostri obiettivi come Paese ma anche quelli del Digital Compass europeo”, ha detto Butti, spiegando che “una tassa su internet può ostacolare in modo significativo l’evoluzione del mercato digitale e limitare la scelta dei cittadini dell’Unione europea”.

Secondo Butti si potrebbe andare a creare “un circolo vizioso di prezzi più alti, minore attrazione, minore scelta e minore utilizzo, che in ultima analisi significa minore domanda di reti ad altissima capacità (Vhcn), lasciando gli operatori telecom con reti in fibra inattive”.

“Gli Ott sono presentati come generatori di traffico improprio, senza verificare se tale ipotesi sia effettivamente corretta. E in realtà è un’ipotesi non corretta – ha sottolineato – Il traffico è richiesto dagli utenti degli operatori telecom, non dagli Ott stessi. Inoltre, si presuppone erroneamente che i costi di investimento nella rete siano direttamente correlati alla crescita del traffico. E anche questo non è fondato nel caso delle reti in fibra”.

“Infine, se dovesse scattare la ‘tassa sulla rete’, avremmo delle zone franche, come Tv via cavo e satellite, che sarebbero escluse dal nuovo regime di tassazione di rete. In tal caso le piattaforme degli Ott si potrebbero agevolmente rivolgere alla distribuzione via satellite, (oggi in condizione di offrire ampiezze di banda ragguardevoli e capaci di trasmettere in 4K e addirittura in 8K), con l’annullamento degli sforzi sin qui fatti per spostare tutti i contenuti sulla fibra, per renderla appetibile agli occhi dei consumatori”.

“Una tassa su internet – ha puntualizzato – in ultima analisi sfavorirebbe gli investimenti nella digitalizzazione e gli operatori attivi in Europa. E poi come si potrebbe far pagare la tassazione? Abbiamo tre scenari: sostenere la tassa su internet, rigettarla in toto, scegliere di approfondire il tema per fare scelte oculate. Le prime due opzioni, secondo me, rischiano di avere un approccio ideologico, approfondire non è una scelta pilatesca ma può aiutare ad assumere qualsiasi tipo si scelta”.

“La posizione del Governo italiano è oggi di chiedere alla Commissione europea di fare degli approfondimenti e di mostrare evidenze e numeri prima di proporre qualsiasi nuova misura che vada in questa direzione”, ha concluso.

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