STRATEGIE

Fastweb, entro il 2020 metà degli italiani potrà accedere a 200 Mbps

Il nuovo piano dell’operatore di rete prevede investimenti da 500 milioni di euro per il prossimo triennio, e un upgrade del network a partire dalle città di medie dimensioni per abbattere da subito il broadband divide

Pubblicato il 05 Apr 2016

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Le cosiddette aree bianche, quelle a fallimento di mercato, dovranno essere infrastrutturate dalla Pubblica amministrazione, che ne deterrà la proprietà, mentre la gestione passerà a “operatori neutrali, come Enel e Infratel, che garantiscano condizioni uguali per tutti, in modo che chiunque vi acceda sia poi in grado di competere sui servizi”. Il resto della Penisola, città di medie dimensioni e provincia comprese, sarà invece per Fastweb mercato puro da contendere a vecchi e nuovi competitor. Un mercato, sottolinea l’amministratore delegato Alberto Calcagno, a una sola velocità: 200 Mbps.

Oggi infatti il numero uno di Fastweb ha annunciato a Milano un importante upgrade del network in mano alla società controllata da Swisscom, sia in termini di prestazioni che di estensione. Entro il primo trimestre del 2018 la rete dovrà per l’appunto garantire la velocità trasmissiva di 200 Mbps a tutti i clienti, indipendentemente dal fatto che si trovino a Milano o a Caserta, mentre entro il 2020 la copertura del territorio nazionale dovrà arrivare al 50% della popolazione, 13 milioni di imprese e famiglie in 500 comuni italiani (attualmente la rete conta 40 mila km di fibra, con il 46% di quota di mercato su infrastrutture proprietarie, e a fine 2016 raggiungerà nel complesso 7,5 milioni di unità abitative, pari al 30% della popolazione).

“Si tratta di un investimento da 500 milioni di euro totalmente autofinanziati”, ha detto Calcagno, “che nel triennio 2017-2020 si aggiungeranno alle risorse che puntiamo costantemente sull’aggiornamento della rete”. L’aumento delle prestazioni, che non ha a che fare con l’infrastruttura, ma con l’equipment tecnologico (VDSL 2.0), rientra infatti nelle operazioni ordinarie, sostenute grazie al reinvestimento degli utili e all’immobilizzazione in progetti di sviluppo del 30% del fatturato anno su anno.

Il piano di Calcagno è scandito in tre fasi, che mettono i centri urbani di fascia media in cima alle priorità: entro il 2016 avverrà l’upgrade delle prime 30 città (a partire da comuni come Arezzo, Viterbo, Riccione, Rimini, Trento, Massa, Pistoia, Caserta, “per abbattere da subito il broadband divide” per il 25% della popolazione italiana), nel corso del 2017 saranno 60 i centri urbani che potranno accedere alla nuova offerta e all’inizio del 2018 l’intera rete dovrebbe correre a 200 Mbps.

“Le cose in Italia si stanno finalmente muovendo, anche grazie a noi”, ha continuato il manager. “A fine 2015 la copertura dell’ultrabroadband ha raggiunto il 51% della popolazione. Siamo ancora distanti dal 71% della media europea, ma il gap si sta velocemente assottigliando, facendo registrare in poco meno di tre anni un balzo di 15 punti percentuali. Abbiamo addirittura superato la Francia (copertura del 48%, ndr), che era considerata dagli addetti ai lavori l’esempio da seguire. Ma rimane la non trascurabile differenza che corre tra il tasso d’adozione italiano, pari al 5,6%, e il tasso d’adozione francese, del 15,2%”. Secondo Calcagno il merito va ascritto anche alla diffusione, Oltralpe, del video on demand, sostenuto da incentivi fiscali che potrebbero essere ipotizzati pure per il nostro mercato. “Va bene il lavoro fatto da noi e dai competitor sull’infrastruttura, ma oltre alle corsie digitali servono anche patenti digitali, altrimenti le autostrade dell’innovazione rimangono vuote. E qui spetta alla Pubblica amministrazione agire”.

Calcagno ha inoltre toccato la spinosa questione della tecnologia da utilizzare per l’ultimo miglio. Come detto, l’upgrade della rete in termini di prestazioni avverrà grazie all’implementazione di soluzioni che potenzieranno la capacità del doppino in rame (giusto un anno fa Fastweb aveva mostrato le potenzialità di Vectoring, VDSL 2.0 e G.Fast applicati al cabinet), perché “l’FTTC offre un deployment rapido e poco invasivo a costi sostenibili. Nessuno mette in discussione che in futuro l’intero network evolverà verso soluzioni basate sulla fibra fino a casa, ma l’FTTC è, nel caso specifico italiano, propedeutico all’FTTH, in quanto nella Penisola gli armadi distano mediamente dai clienti finali solo 250 metri. Niente ci impedisce, nei prossimi anni, di eseguire un ulteriore upgrade portando la fibra su quell’ultimo tratto e riutilizzare totalmente la rete primaria”.

Del resto, la spinta sulle soluzioni alternative alla fibra non è nemmeno più in contraddizione con il payoff di cui si è sempre fregiata Fastweb: the fiber company. “Oggi siamo una infrastructure company”, ha detto Calcagno. “E il network fisso è uno dei quattro elementi che contraddistinguono l’infrastruttura, insieme alla rete di hot spot Wi-fi, che estende la connettività anche in mobilità, ai data center (dopo quello di Milano, dovrebbe essere in arrivo una nuova struttura nel centro-sud, ndr), con i quali serviamo già mille imprese, e ai servizi LTE, che a fine 2016 allineeranno la qualità erogata sul fisso a quella in modalità wireless”.

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