E’ braccio di ferro tra operatori di tlc e ministero allo Sviluppo economico, per la norma sul fondo contro le interferenze tra reti mobili e tivù. La norma era nel decreto Digitalia, poi è sparita dall’ultima bozza, ma – secondo quanto riferisce una fonte del ministero al Corriere delle Comunicazioni – tornerà nel documento finale (che dovrebbe andare in Consiglio dei ministri il 21 settembre).
A quanto risulta al Corriere delle Comunicazioni è stato l’ufficio legale dello Sviluppo economico a consigliare di togliere la norma dalla bozza attualmente in circolazione per una verifica di legittimità. In dettaglio si sta verificando se sia legittimo (come previsto dalla precedente versione del decreto) obbligare gli operatori a farsi carico della costituzione del fondo, considerato che l’obbligo non era stato sancito nel disciplinare di gara Lte. Confidustria Digitale smentisce innato al nostro giornale la notizia di stampa secondo cui avrebbe mandato una lettera al governo per togliere la norma. “Non abbiamo mandato la lettera, né abbiamo mai scritto da qualche parte che debba essere lo Stato o i cittadini a pagare gli interventi tecnici contro le interferenze”, fanno sapere. “Abbiamo solo inviato commenti tecnici alla Cabina di regia sull’Agenda digitale. Già in fase di consultazione pubblica Agcom per la gara Lte avevamo chiesto che i lavori di intervento fossero messi nel disciplinare, come hanno fatto altri Paesi. Questo avrebbe permesso all’industria una valutazione più precisa dell’impatto economico della gara. Il ministero non l’ha fatto, forse per paura di deprezzare le frequenze. Si noti che in Spagna, dove non c’è questo aspetto nel disciplinare, pagheranno i cittadini”.
Ma in Italia che si può fare, adesso, visto che ormai con il disciplinare la frittata è fatta? “Asstel e Confindustria Digitale dicono: per ora sperimentiamo e capiamo la dimensione del fenomeno, ancora sconosciuta in Italia. E’ inutile, nel frattempo, una norma che fissi un ammontare preciso nel fondo, 100 o 150 milioni di euro…se poi il costo sarà più grande, che facciamo?”.
Secondo le prime stime tecniche del ministero, è un fenomeno che riguarderà il 3-4% delle antenne e quindi comunque rilevante: 800mila case, su cui va installato un filtro da 10 o da 130 euro. A seconda del tipo di interferenza: saturazione dell’amplificatore di antenna o disturbi del segnale da “blocco adiacente”; problema, quest’ultimo, causato solo dalle frequenze di Wind mentre al primo contribuiranno le antenne di tutti gli operatori.
Insomma, se gli operatori cercano di prendere tempo per capire prima quanto sarà il costo totale (e cercare di non pagarlo tutto loro), il ministero preme per infilare la norma sul fondo subito nel decreto Digitalia. Magari rinviando alle future modalità tecniche d’intervento, che deciderà lo stesso Sviluppo economico, gli importi e le ripartizioni di costo tra gli operatori. L’idea è comunque di far pagare di più gli operatori che causano più interferenze (e quindi soprattutto Wind). Al momento c’è chiusura da parte del ministero, però, all’ipotesi di far gravare sullo Stato anche solo una parte dei costi. Situazione complicata anche dal fatto che il fronte delle telco è spaccato.
Da una parte, Telecom Italia e Vodafone vorrebbero far gravare i costi solo su Wind (qualora non sia possibile farli pagare allo Stato). Wind invece rileva che tutti gli operatori causano interferenze e quindi tutti devono risponderne. Su tutto, incombe un conto alla rovescia: bisogna risolvere la cosa entro i primi mesi del 2013, quando potrà essere lanciato l’Lte grazie alla liberazione delle frequenze 800 Mhz. Altrimenti, se resterà incerto chi dovrà pagare, le emittenti tv potrebbero ostacolare il lancio temendo disservizi. E c’è anche il rischio (per ora remoto) che sia alla fine l’utente a sborsare di tasca propria l’intervento, se le parti non troveranno un accordo. Fuori dal potenziale impasse è solo 3 Italia, che non userà frequenze 800 Mhz per l’Lte, e quindi potrebbe partire al più presto e persino avvantaggiarsi della situazione di incertezza.