"Se il governo non interverrà in maniera strutturale sul tema della banda larga l’Agenda digitale non sarà realizzabile. E a uscirne più penalizzate saranno le aziende, in particolare quelle che fanno export e che contribuiscono in maniera sostanziale al Pil”. Non ha dubbi sul ruolo chiave delle infrastrutture, soprattutto quelle basate sulla fibra ottica, Francesco Sacco, docente all’Università dell’Insubria e managing director Enter-Università Bocconi.
Il governo ha annunciato l’obiettivo di azzeramento del digital divide.
La strada indicata è quella giusta, ma a patto che si creino le condizioni per percorrerla e che si passi immediatamente all’azione, soprattutto in quelle aree industriali dove siamo all’anno zero.
In che senso?
Partiamo dai dati: in Italia ci sono 4.480.000 aziende di cui 84mila sopra i 20 addetti, quindi annoverabili nella categoria delle medie e grandi. La maggior parte delle aziende si concentra in Lombardia che da sola ne conta 818mila di cui 20.248 dai 20 addetti in su, un quarto di quelle nazionali. Ebbene se guardiamo soltanto le imprese medio-grandi lombarde, la banda media disponibile per postazione Internet è di soli 250 kb in download e 160 kb in upload. Piuttosto poco. Ma il dato diventa drammatico se si escludono dal campione le aziende connesse in fibra, che sono localizzate quasi soltanto a Milano: al netto della fibra la media precipita a 150 kb in download e 50 kb in upload, parecchio al di sotto della disponibilità di banda garantita di un utente consumer.
E quasi sono le conseguenze?
Sono due. La prima, è che Internet funziona per tutte le applicazioni come l’e-mail e il web, che sono best effort. Ma funziona molto più lentamente a danno della produttività che Internet dovrebbe invece aumentare. La seconda è peggiore: quel che non funziona, semplicemente non si usa. Pensi ai servizi di videoconferenza e al Voip: Skype è oramai una piattaforma ‘standard’ di comunicazione, specie verso l’estero: più del 40% delle chiamate internazionali sono gestite da Skype. Ma in Italia si fa fatica ad utilizzarla perché la scarsità di banda non rende prevedibile la qualità del servizio. Per non parlare poi della videoconferenza: le multinazionali la utilizzano soprattutto per abbattere i costi legati ai viaggi e alle trasferte. Ma da noi non è possibile visto che con la banda ‘stretta’ la videocomunicazione e il collaboration sono le vere vittime. Insomma è un vero e proprio paradosso, tanto più che il governo chiede alle aziende un sempre maggiore utilizzo di Internet per le comunicazioni con la PA, per le attività di vendita attraverso l’e-commerce, per la fatturazione, che deve avvenire per via elettronica. Come si fa a ottenere tutto questo se non si può contare su una disponibilità di banda adeguata alle richieste?
Crede che sia compito dello Stato intervenire nelle aree industriali per colmare il gap?
Parliamoci chiaro: gli operatori di Tlc non hanno alcuna intenzione di investire risorse in aree che non ritengono vantaggiose per il loro business. Ciò vuol dire che tutte le imprese che non sono localizzate nelle aree centrali di una grande città sono probabilmente escluse da ogni progetto di cablatura. Inoltre, per quanto riguarda i piani di infrastrutturazione annunciati, la roadmap è già poco chiara e rischia di allungarsi. C’è poi un problema di tempo: da quando si comincia a definire un piano di infrastrutturazione al suo completamento passano anni. Le aziende italiane possono permettersi queste tempistiche? Quindi la questione ruota attorno alla definizione di una strategia che consenta, attraverso facilitazioni fiscali e nuove norme, di velocizzare le operazioni.
A cosa si riferisce nello specifico?
Intanto bisogna abbattere gli ostacoli burocratici relativi alla posa della fibra. Poi ci sono una serie di tasse che potrebbero essere eliminate, ad esempio quelle sul sottosuolo che si potrebbero rimuovere nel caso di posa della fibra. E bisognerebbe anche consentire alle aziende che vogliono consorziarsi per creare le proprie infrastrutture di passare all’azione senza che per questo si configurino come operatori telefonici e che quindi siano soggette a fee spropositate come anche alle regole.
Ci sono Paesi “modello” ?
In Svezia lo Stato ha finanziato l’arrivo della fibre nelle centrali e i privati a proprie spese dalle centrali in poi. L’Italia potrebbe fare anche meglio: i piani contro il digital divide già portano la fibra nelle centrali. Ma se lo Stato non ha risorse da investire, quantomeno spiani la strada.
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Francesco Sacco: “Senza fibra aziende in panne”
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Pubblicato il 20 Mar 2012
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