In parte ha ragione Mediaset ma in parte è anche un falso problema (e ha poche ragioni per lamentarsi), quando afferma che rischia di non partecipare all’asta. L’ha affermato oggi Pierpaolo Berlusconi (vicepresidente Mediaset) a “Repubblica”, l’ha dichiarato con stizza Paolo Romani (Pdl). Questi ha esteso lo stesso pericolo a Rai, sebbene per l’emittente pubblica la situazione sia molto diversa, come riconosciuto anche da Antonio Sassano, docente all’università di Roma La Sapienza.
Al centro c’è un complicato nodo di frequenze. Il risultato, se si analizzano le possibilità in gioco, sembra portare in una direzione: stando così le cose Mediaset ha poco interesse a partecipare all’asta. Che è ben diverso dal dire, però, che le sia stata preclusa (come afferma Romani) o che sia penalizzata dalla situazione.
È già stato detto che ci sono in ballo tre frequenze UHF, che grazie al nuovo Codice delle comunicazioni (da decreto di inizi aprile) “potrebbero” essere usate da Rai, Mediaset e H3G anche per la tv digitale terrestre (mentre finora le nostre norme le destinavano a usi diversi). Se Rai e Mediaset chiedessero al Ministero dello Sviluppo Economico la conversione d’uso- come li autorizzerebbe a fare il decreto- arriverebbero al limite massimo di frequenze detenibili (cinque multiplex, come richiesto dall’Unione Europea e recepito già dal beauty contest di Romani).
Una discriminante importante è però che la frequenza Mediaset (canale 38) è ottima per questo scopo, mentre lo è molto di meno quella di Rai (canale 11). Allora Mediaset avrebbe interesse a partecipare all’asta solo se è vera almeno una dei queste due ipotesi: se teme di non poter ottenere la conversione d’uso in tempi utili per i propri piani industriali o se spera di poter superare comunque il tetto dei cinque multiplex. Ad oggi non ci sono elementi a supporto di nessuna di queste due possibilità. I principi di neutralità tecnologica spingono Ministero e Agcom a dare quell’autorizzazione; al massimo, ci potrebbe essere uno slittamento tecnico dei tempi (arrivando ad alcuni mesi dopo l’asta, che è prevista per giugno).
Sembra impossibile che l’Europa e/o Agcom autorizzino ad arrivare a sei multiplex, visto che era proprio l’eccessiva concentrazione del nostro mercato a motivare la procedura d’infrazione contro l’Italia.
Allora non si vede proprio perché Mediaset dovrebbe partecipare all’asta, spendendo soldi per un’altra frequenza (che porta con sé inoltre certi obblighi di copertura e quindi altri investimenti), quando già ne ha una, da convertire. Però ha ragione Corrado Passera, ministro allo Sviluppo Economico: “l’asta è aperta a tutti”, perché nessuno obbliga Mediaset a chiedere la conversione.
Per Rai è un po’ diverso: se vuole arrivare a cinque multiplex e vuole averli tutti ottimali per una copertura nazionale, parteciperà all’asta. Non parteciperà, invece, se si accontenta di quattro o se pensa che le basti il canale 11, per farci coperture locali limitate. Questo porta a chiedersi chi potrebbe, più probabilmente, partecipare all’asta: soggetti esteri, Sky, Europa7, La7? Dipenderà dalle regole Agcom.
Ma a pesare sullo scenario è anche un’altra considerazione: nel 2015 dovrebbe essere realtà il Dvb-T2. Come previsto dall’emendamento che vara l’asta e che appunto obbliga i produttori di tivù a integrare il Dvb-t2 dal primo gennaio 2015. Il nuovo standard triplicherà i canali trasmissibili a parità di multiplex. Anche considerando che le emittenti vorranno fare più canali ad alta definizione o addirittura 3D, si ritroveranno comunque una maggiore disponibilità di risorse rispetto ad oggi. E allora quindi potrebbero reputare opportuno accontentarsi dei multiplex che hanno ora, tanto nel 2015 questi porteranno in dote molti più canali. Un altro motivo che va a sfavore della partecipazione all’asta, da parte di chi i multiplex ce li ha già (Rai e Mediaset in primis). Allora lo Stato farebbe davvero bene a scommettere sui nuovi entranti, per quest’asta, e Agcom a creare le regole opportune per incoraggiarli a partecipare.