Frequenze, operazione glasnost

Dopo l’asta valorizzare lo spettro: troppi sprechi, scongiurare l’”effetto discarica”. Al forum del Corriere delle Comunicazioni intervengono Frullone (Fub), D’Angelo (Agcom), Sassano (Università “Sapienza”) e Dècina (Polimi)

Pubblicato il 17 Ott 2011

Le frequenze sono un asset importante da sfruttare al meglio. Non
soltanto per il valore economico di un bene scarso e preziosissimo
come lo spettro, ma soprattutto per il ruolo strategico che
l’etere ricopre per lo sviluppo del Paese: consentire agli
operatori di telecomunicazione di fare fronte nei prossimi decenni
all’esplosione del traffico dati in mobilità che crescerà in
maniera esponenziale in futuro, anche per consentire a miliardi di
oggetti di essere connessi fra loro in quell’Internet delle cose
in arrivo.

Prima di arrivare con l’acqua alla gola all’appuntamento del
futuro, con tutte le conseguenze negative che questo significa,
serve una pianificazione ed una ingegnerizzazione complessiva dello
spettro, così da mettere a punto un piano capace di traguardare
gli obiettivi almeno sino al 2020 e di assicurare che l’Italia
possa raggiungere gli obiettivi della Digital Agenda europea anche
grazie a una rete di infrastrutture di telecomunicazioni adeguata
agli sviluppi tecnologici e dei servizi per aziende, cittadini,
pubblica amministrazione che passeranno sempre di più dalle reti
mobili.

Queste sono le conclusioni di un Forum sulle frequenze, tenuto
presso la redazione del Corriere delle Comunicazioni e coordinato
dal direttore Gildo Campesato, al quale hanno preso parte Mario
Frullone, direttore ricerche della Fondazione Ugo Bordoni, Maurizio
Dècina, ordinario di Reti e Comunicazioni al Politecnico di
Milano, Antonio Sassano, ordinario di Ricerca Operativa alla
Sapienza di Roma, Nicola D’Angelo, commissario dell’Agcom. Al
centro del dibattito un caso delicato, le “preziosissime”
frequenze fra i 380 e 470 MHz. Una parte di questa banda è già
attribuita al servizio mobile ed è impiegata oggi per le
comunicazioni professionali. In generale si tratta però di
frequenze quasi sempre sottoutilizzate.

Frullone. Il radiomobile professionale è
impiegato anche da soggetti e organizzazioni da cui dipende la
sicurezza delle persone e la loro protezione. Si tratta
generalmente di applicazioni critiche. Fermo restando che la
pubblica sicurezza e i servizi di emergenza sono fondamentali e che
la loro valutazione si determina non solo in termini di efficienza
economica ma anche in termini di numero di vite umane salvate,
l’uso che oggi si fa di queste frequenze non appare ottimale. Lo
standard Tetra, che assieme alle sue evoluzioni rappresenta la
tecnologia più avanzata per il radiomobile professionale, adopera
canalizzazioni molto ridotte che, come ci insegna Shannon, non
consentono quella trasmissione dati ad alta velocità che è
indispensabile, ad esempio, per il trasferimento di video in real
time. Non si tratta, desidero sottolinearlo, di adoperare gli
standard della telefonia pubblica, ma di rilanciare il radiomobile
professionale. Altre porzioni di spettro a 450 MHz sono
inutilizzate o adoperate secondo criteri definiti negli anni ’80.
Un’altra era geologica.
Disponendo di una banda preziosissima dal punto di vista della
propagazione radio, bisognerebbe cominciare a ragionare su un
utilizzo più efficace. La mia è una valutazione di natura
tecnica, ma penso sarebbe utile aprire un dibattito che coinvolga
tutti gli stakeholder, coinvolgendo anche le grandi aziende leader
in questa tecnologia, a partire da Selex Communications del gruppo
Finmeccanica. Tra l’altro, oggi sono disponibili soluzioni
tecnologiche innovative con un uso più avanzato dello spettro, che
potrebbero dare un impulso al settore. In questo periodo difficile
per tutta l’economia occidentale, i benefici varrebbero il
doppio. Ma di tutto questo in Italia non si parla abbastanza.

Campesato. L’assegnazione di precise frequenze a
determinati servizi ha una sua logica di tutela dell’interesse
pubblico. Ad esempio garantire la continuità del servizio anche in
situazioni di intasamento della rete.

Dècina. Non credo che nessuno abbia
l’intenzione di sottrarre frequenze ai servizi di pubblica
utilità o di diminuirne l’efficienza. È però evidente che se
ci dotiamo di capacità di intervento e di tecnologie più moderne
rendiamo più efficiente l’uso dello spettro radio, consentiamo
di rendere più efficaci i servizi di pubblica utilità e
consentiamo anche di realizzarne di nuovi come, ad esempio, sistemi
di controllo video del traffico, monitoraggio degli incidenti
stradali, interventi di emergenza con maggiore diffusione
territoriale.
Mi paiono evidenti e rilevanti i vantaggi anche in termini di
sicurezza sociale. Va anche aggiunto che oggi il Tetra non ha una
diffusione capillare nell’intero Paese. Vi sono vaste zone non
coperte dal servizio.

Campesato. Non c’è il rischio di mettere in
crisi un campione nazionale come Selex Communications che sul Tetra
ha una parte significativa di fatturato e di expertise
tecnologica?

Sassano. Credo, al contrario, che non serva a
nessuno coltivare orticelli chiusi. Prima o dopo i nodi vengono al
pettine. Anzi, in un mondo sempre più aperto e con evoluzioni
tecnologiche sempre più rapide, vincono le aziende che sanno
cogliere la sfida dell’innovazione. Anche per questo credo che
affrontare in modo diverso e sistemico l’uso dello spettro
frequenziale non possa che essere di aiuto alla crescita
competitiva della nostra industria nazionale.

D’Angelo. Quando a inizi anni Novanta è
arrivato il Gsm, l’Europa era all’avanguardia, con aziende al
top come Ericsson e Nokia. Oggi, con l’Lte, l’Europa è
indietro. L’Italia ha bisogno di ingegneria. Chi meglio di Selex
e Finmeccanica, per tornare ai ragionamenti di prima, ha interesse
ad una pianificazione nazionale efficace e solida dell’uso e
dello sviluppo delle frequenze? Si tratta di temi che interessano a
tutti gli operatori del settore, alle telco come ai fornitori di
apparati e di servizi, soprattutto dopo l’asta Lte.  

Decina. Dobbiamo imparare a guardare oltre
l’orticello italiano. Il vero tema su cui ragionare, che tra
l’altro ci è imposto dalla digital agenda Ue, è questo: con
quali risorse frequenziali faremo fronte all’inarrestabile
esplosione di dati in mobilità? Ormai non ha più senso
considerare reti fisse e reti mobili come due infrastrutture
separate, tanto più che i terminali della rete fissa non saranno
tanto le borchie domestiche ma i ripetitori mobili. Per non parlare
dell’Internet delle cose che ci porterà miliardi di apparecchi
connessi in wireless.

Sassano. Per razionalizzare l’uso delle bande
fra i 380 e i 470 MHz così come il resto dello spettro,
bisognerebbe innanzitutto sapere come vengono attualmente
utilizzate. Purtroppo non esiste in Italia un catasto dettagliato
dell’uso dello spettro. Bisognerebbe estendere l’esperienza
positiva del catasto delle frequenze TV a tutto lo spettro radio.
L’assenza di un catasto dello spettro, per altro richiesto
dall’Agenda Digitale Europea, pone un grave limite alla nostra
capacità di intervento. Tuttavia, da quello che si evince da
alcune analisi che si possono trovare anche in Rete, l’uso di
molte bande di frequenza appare tutt’altro che razionale ed
efficiente: a quanto pare, quelle frequenze sono usate molto poco e
anche male. C’è persino chi ha scoperto che questa banda viene
utilizzata da qualcuno che, ovviamente in maniera abusiva e ben
lontano dal mare e dalle coste, si insinua su bande riservate alle
comunicazioni di pubblica sicurezza mare-terra. Ed è anche nato un
fiorente mercato abusivo di telefonini cordless molto potenti che
operano sulle frequenze del Tetra. Stiamo parlando di frequenze
preziosissime, con bande che per gli operatori di telecomunicazioni
potrebbero essere addirittura più appetibili delle frequenze a
800Mhz, il cui uso è stato appena ceduto con l’asta Lte a 3
miliardi di euro. Si tratta di 90 MHz di frequenze male utilizzate,
un terzo di quelle messe all’asta per l’Lte, come se un area di
alto pregio artistico fosse utilizzata come una
“discarica”.

Campesato. Quanto potrebbero valere sul
mercato?

Sassano. La sottobanda di frequenze fra 450 e 470
MHz potrebbero essere messe all’asta già domani per l’Imt,
vale a dire per servizi di telefonia mobile, come del resto ha
stabilito dalla Conferenza mondiale delle telecomunicazioni del
2007 e come è previsto dai piani della Digital Agenda Ue che
l’Italia dovrà implementare. Non credo di andare molto lontano
dal vero stimandone il valore ad almeno un miliardo di euro, anche
in considerazione di come è andata l’asta Lte. Si tratta, è
bene ricordarlo, di frequenze per il cui uso lo Stato oggi non
incassa nemmeno un canone adeguato. In Gran Bretagna, per fare un
esempio, l’Ofcom ha previsto che dal 2014 dovrà essere pagato un
canone d’uso di 1,25 milioni di sterline per MHz per anno.

Frullone. Va considerato che sono frequenze, cioè
risorse pubbliche preziose, che vengono usate scarsamente o in modo
poco efficiente e vengono quindi parzialmente sprecate. Ci sono
margini di miglioramento consistenti verso un utilizzo più
efficiente dello spettro e ciò non può che giovare alle
condizioni della nostra finanza pubblica. Penso anch’io che sia
fondamentale avere un quadro complessivo di conoscenza sull’uso
effettivo dello spettro in Italia. È da una seria spectrum review
che bisogna partire per pianificare il futuro.

Campesato. Ma c’è veramente bisogno urgente di
altro spettro per le tlc in Italia?

Dècina.  Davanti a noi c’è la necessità di
trovare un Gigahertz se non addirittura due per sostenere
l’implementazione dell’Lte Beyond, la versione avanzata
dell’Lte. Arriverà entro il 2020. E già ora le reti mobili sono
sotto pressione, non basterà l’Lte di prima generazione a
reggere il traffico degli smartphone del futuro e degli oggetti
connessi. Il problema della banda è drammatico, l’Italia rischia
di perdere il treno. Bisogna pianificare oggi il Gigahertz di
domani: il 2020 non è chissà quando. È dietro l’angolo.
Per pianificare un uso adeguato dell’Lte Beyond serve mettere in
campo 300 MHz di banda. Per fare un confronto, l’asta l’Lte ha
liberato 255 MHz. Il resto del mondo corre, cinesi e indiani
corrono: rischiano di essere loro i protagonisti dell’Lte Beyond
con italiani ed europei rimasti indietro. Mentre loro corrono, noi
stiamo sostanzialmente fermi. L’uso dello spettro va programmato
e ingegnerizzato il più presto possibile, con un piano che
traguardi il 2020. In Cina lo hanno già fatto. Ma nel 1995.

Frullone. Tanto più urgente visto che entro
l’aprile del prossimo anno l’Italia dovrà dire all’Ue cosa
intende fare per rispondere ai dettami della Digital Agenda
2020.

D’Angelo. Il problema dell’uso efficiente
dello spettro esiste, ma non si può guardare soltanto alla sua
valorizzazione economica o tecnica: vi sono esigenze di interesse
pubblico, come la sicurezza o la gestione delle emergenze, che
vanno tenute nella dovuta considerazione. Premesso questo, non si
può ignorare il fatto che in Italia esiste una gestione vecchia
dello spettro, poco coerente con quelle che sono le stesse
disposizioni degli organismi internazionali. Mi rendo conto che il
tema delle frequenze è complesso e non esistono ricette facili, ma
in Italia abbiamo un piano di ripartizione molto attento agli
aspetti formali e alle garanzie per l’utilizzatore ma che è
scarsamente sensibile all’uso efficiente delle risorse del
sistema radioelettrico, come invece ci chiede l’Unione
Europea.

Campesato.  Anche Agcom può svolgere un ruolo in
questa direzione.

D’Angelo. Certamente, ma quel che manca a monte,
soprattutto, è una visione sistemica, in grado di programmare e
coordinare l’uso dell’insieme dello spettro anche in relazione
a quelli che sono gli sviluppi delle tecnologie e dei servizi. Lo
stesso tema della banda larga deve essere affrontato in modo
organico, abbracciando contemporaneamente la banda larga fissa e
quella mobile. Bisogna superare il vecchio approccio legato alla
parcellizzazione tecnologica e alla specializzazione a vantaggio di
una visione più sistemica, d’insieme. Ma questa è una questione
politica prima ancora che regolatoria.

Sassano. In Australia la ricanalizzazione della
banda 400 MHz è stata decisa dal Governo. Nel documento del 23
giugno sulle Ngn firmato dal ministro Romani la parola wireless non
è utilizzata una sola volta. Al contrario è universalmente
riconosciuto il ruolo che le reti wireless avranno nella struttura
delle future Ngn, sia per le zone in “digital divide” che per
l’ultimo miglio.

Dècina. Da tempo sostengo che è necessario
parlare di Fiber to the base station (Ftbs) perché il Fiber to the
home non funziona, ha costi e complessità eccessive. La fibra va
posata non fino agli edifici, ma fino alle base station mobili, per
veicolare poi il segnale in modalità wireless verso i condomini.
Nei tetti degli edifici si potranno montare antenne capaci di
garantire capacità di 2-3 Mbps a tutti gli appartamenti. Per il
backhauling della rete si possono inoltre usare anche frequenze
radio, sfruttando microcelle posizionate sui terminali della rete
in fibra. Dal cavo l’attenzione per il futuro va spostata al
wireless.

D’Angelo. Anche per questo le frequenze a 450
MHz sono importanti. Hanno una capacità di penetrazione indoor
eccezionale, una qualità molto preziosa. Queste bande di frequenza
avranno un ruolo fondamentale per la standardizzazione dello
spettro.

Frullone. I sistemi mobili hanno un netto
vantaggio rispetto al fisso. I costi di investimento possono essere
graduati sulla crescita degli abbonati. La fibra, al contrario,
obbliga ad un grosso investimento infrastrutturale iniziale  con
una minore certezza sui tempi necessari per remunerarlo
adeguatamente. Per questo penso che potremmo pensare di risolvere
il problema di assicurare una copertura di 2 Mbps a tutti gli
italiani, come ci chiede l’Agenda Digitale europea, anche usando
tecnologie wireless, anche per alcuni segmenti di backhauling. Non
dimentichiamo che tutta la capacità di traffico che stiamo
destinando al mobile, richiede anche adeguate risorse di
interconnessione.

Sassano. Infatti,  secondo stime di Juniper
Research entro il 2016 per l’Lte saranno spesi a livello globale
840 miliardi di dollari per l’upgrade del backhauling delle
reti.

Dècina. In India le reti Ngn non sono
assolutamente previste: passano direttamente al mobile. Da noi
invece inseguiamo ancora la fibra quando il mondo guarda ormai al
mobile. E ci si inventa pure una società pubblica della fibra.

Campesato.  Dall’asta Lte vi sono risorse che
Romani promette di usare per il settore.

Sassano.  Come usare il surplus dell’asta Lte?
Ad esempio anche per realizzare e connettere ad alta capacità le
centrali Telecom e le stazioni radiobase in aree in “digital
divide”. Mi pare il modo migliore per affrontare con risorse
pubbliche, come ci consente l’Unione Europea, la copertura delle
zone bianche.

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