Interferenze alle Tv, canali che non si vedono, programmi in lingua croata? Nel giro di un anno tutto potrebbe essere “risolto”. O forse no. Di fatto, entro dicembre 2014 le emittenti televisive che producono “interferenze” sui paesi confinanti dovranno far fagotto. In cambio il ministero dello Sviluppo prevede per il loro disturbo 20 milioni di euro. Già trasferiti sul conto di Poste Italiane.
Intento nobile, ma strategia potenzialmente esplosiva. Perché a reclamare quei 20 milioni potrebbero essere non qualche decina, ma le oltre 300 emittenti locali o nazionali che si trovano in qualche modo “fuorilegge”: perché infrangono le regole dettate a suo tempo da Agcom e perché l’Italia non ha mai intrapreso una vera politica di accordi internazionali tali da sanare il “conflitto” frequenziale con i Paesi confinanti. Centinaia di emittenti che potranno sollevare una protesta chiedendo risarcimenti: non il massimo per le finanze italiane. Del resto è lo stesso ministero che ammette di arrendersi di fronte al guazzabuglio provocato da una valanga di distorsioni. Quasi per giustificare la proposta di una soluzione-tampone che rischia di provocare altri caos. Vediamo.
La soluzione “home made” è contenuta nel decreto Destinazione Italia da poco licenziato dal consiglio dei ministri e ancora non pubblicato in Gazzetta Ufficiale. L’articolo 6 prevede che l’autorità delle comunicazioni riformuli la pianificazione nazionale delle frequenze escludendo quelle che non rispettano i vincoli del Piano Agcom e, di conseguenza, quanto previsto dal Mise in fase di assegnazione. “Attualmente l’Italia – recita il decreto – sulla base delle pianificazione delle frequenze adottata dall’Agcom, con le dovute precauzioni d’uso a tutela delle utilizzazioni legittimamente riconosciute ai vari Paesi dal piano di Ginevra 2006, ha assegnato ai propri operatori la quasi totalità delle frequenze disponibili”. In realtà durante il passaggio al digitale terrestre sono state assegnate frequenze senza rispettare il piano Agcom e senza il rigido rispetto di vincoli nazionali e internazionali che il piano tassativamente prevedeva.
“Tale circostanza – si riconosce ora al ministero – è stato però motivo di accertate situazioni interferenziali verso i Paesi confinanti e conseguentemente le reazioni suscitate nei Paesi interessati hanno indotto sia l’ITU sia l’Unione Europea a monitorare la situazione e invitato l’Italia ad avviare incontri bi/multilaterali”. Peccato che quegli incontri non siano mai stati effettuati. E che ora la situazione risulti un groviglio tale da spingere il ministero ad ammettere: “L’esito positivo di detti incontri (incontri internazionali bilaterali, ndr) non è di facile realizzazione per i complessi aspetti tecnici che emergono”.
Dunque il ministero dichiara in qualche modo di non essere in grado di far rispettare alle emittenti i difficili vincoli tecnici del piano Agcom. Quindi la soluzione è: disattivazione forzosa degli impianti. Con il rischio di dare al Paese un ennesimo colpo sul piano della credibilità nazionale.
Ma c’è di più: dalla nuova pianificazione dovranno essere escluse le frequenze oggetto “di accertate situazioni interferenziali”. Chi accerterà la “situazione interferenziale”? Quante emittenti saranno obbligate a lasciare l’attività perché i loro programmi sono interferiti? Fra quante aziende dovranno essere spartiti i 20 milioni depositati sul conto di Poste Italiane?