“Adesso subito un inventario dello spettro: i tempi sono maturi finalmente e il nuovo Governo è sensibile al tema. E poi la sprectrum review, con una particolare attenzione alle frequenze inutilizzate, che possiamo assegnare alla banda larga mobile, come sta avvenendo già nei principali Paesi europei”. Mario Frullone, direttore delle ricerche della Fondazione Ugo Bordoni inanella le idee una dietro l’altra. Nella sua testa, il piano è già fatto.
Rivedere l’uso dello spettro italiano: se ne parla da anni. Come uscire dall’impasse?
Serve una norma che lo imponga e quindi una volontà forte da parte del Mise. Ma la nuova Direzione generale per la Pianificazione e la gestione spettro radioelettrico, all’interno del ministero è molto sensibile a questo tema. Sono certo che farà una norma per avviare l’inventario dello spettro e quindi la sua revisione. Per le bande usate da servizi commerciali, il compito di revisione spetta all’Agcom. Per le bande usate dal Governo, bisogna agire invece con i ministeri coinvolti.
E dopo?
In base a questa iniziale valutazione, liberare risorse per la banda larga mobile, come già si accingono a fare gli altri Paesi europei. In Germania ad esempio è cominciato il lavoro per assegnare all’asta le frequenze della banda L, intorno ai 1450 MHz, per dare risorse supplementari in downlink alla rete internet wireless. In Italia questa banda è assegnata alla radio digitale satellitare e terrestre. Non sono usciti però molti dispositivi radio che supportino la banda L. L’altro fronte è introdurre criteri più evoluti per l’utilizzo dello spettro, in base al modello Lsa (Licensed shared access). Significa permettere, agli operatori mobili, di usare bande di frequenza ora sottoutilizzate.
Come funziona l’Lsa?
Alcune bande di interesse per il wireless broadband sono assegnate a soggetti che li utilizzano solo in certi luoghi del territorio. Per esempio, alcune bande sono usate solo per ponti radio tra picchi di montagna. Potrebbero quindi essere usate senza problemi dalla banda larga mobile in città. È sufficiente che l’amministrazione pubblica e il nuovo licenziatario (l’operatore mobile) garantiscano di non usare certe frequenze in certi luoghi e oltre una certa potenza.
E l’Europa a che punto è?
È la moda del momento. Francia, Spagna, Regno Unito, Germania stanno introducendo norme in tal senso, auspicate anche dalla Commissione europea. Serve però un’armonizzazione dell’uso Lsa a livello europeo. Se ogni Paese lo fa sulle bande che vuole, non è possibile garantire un fattore di scala sui dispostivi che poi devono supportare quelle nuove frequenze.
Quali sono le bande interessate?
Si parla del 2.3 GHz, che in Italia è più libero rispetto al resto d’Europa. In prospettiva anche la 3.8 GHz è utilizzabile in questo modo. Ma la cosa importante è far passare il concetto dell’Lsa. Adesso chi ha una frequenza assegnata non deve rendere conto a nessuno: può usarla poco o niente e resta sempre sua in esclusivo utilizzo. Questo non è più accettabile. L’interesse pubblico deve avere voce in capitolo. Questo perché in futuro la banda larga wireless avrà bisogno di almeno 1.2 GHz, contro i 700 MHz ora già disponibili in Italia.
Saranno necessarie nuove aste per l’uso dell’Lsa?
La banda L e le porzioni di 2.3 e 3.8 GHz candidabili per l’Lsa possono andare all’asta. Ma su questo punto va fatta una riflessione. Non so se conviene ancora fare aste come quelle che massimizzano i ritorni per lo Stato ma che poi riducono le potenzialità di investimento degli aggiudicatari. La decisione spetta alla politica, certo. Segnalo solo che ci sono diversi modelli di asta e non tutti sono come quelli adottati finora per la banda larga mobile.
Frullone: “Lsa modello vincente per il 4G”
Il direttore delle ricerche della Fub: “In Italia chi ha una frequenza non deve rendere conto a nessuno. Ma le cose vanno cambiate in nome dell’interesse pubblico. Il Licenced Shared Access ottima soluzione”
Pubblicato il 08 Apr 2014
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