L'EDITORIALE

Newco Tim-Open Fiber: si farà davvero?

Le condizioni “tecniche” ci sono, messe nero su bianco nella manovra fiscale. E c’è soprattutto il placet politico. Ma che si arrivi a una quadra è tutto da vedersi. Le parti in causa non hanno gli stessi vantaggi né gli stessi obiettivi. E non è una questione da poco

Pubblicato il 11 Dic 2018

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Il dossier è ancora tutto da scrivere. Checché se ne dica la realizzazione della newco delle reti “nazionale”, che dovrebbe sortire la messa in comune degli asset di Tim e Open Fiber, non è un’operazione che si farà, se si farà, in tempi brevi.

Il governo Lega-5Stelle è più che favorevole. E i poteri conferiti ad Agcom per pronunciarsi in materia – stabilendo quale sia la direzione più auspicabile in materia di infrastrutturazione-Paese – senza dubbio rappresentano l’humus ideale per l’eventuale “fusione”. Ma le parti in causa, Tim e Open Fiber, sono le uniche deputate a decidere se il “piano” sia fattibile, considerati interessi e vantaggi reciproci.

Se da un lato c’è chi sostiene che due infrastrutture parallele in fibra potrebbero risultare ridondanti – ma bisognerà attendere i risultati dell’analisi di mercato di Agcom per capire meglio – dall’altro si ragiona sulle singole “potenzialità”, nel breve ma soprattutto nel lungo periodo. Il mancato allineamento delle posizioni degli azionisti in casa Tim – che ha provocato un vero e proprio sconquasso nella governance – è il segno che lo scorporo finalizzato alla fusione con Open Fiber non è considerata l’unica strada. La creazione di una società “scorporata”, a controllo Tim, in cui far confluire le reti, magari da quotare in un secondo momento, è l’altra ipotesi sul piatto, non ancora abbandonata. Di contro sulla base delle regole europee per dare vita a una newco nazionale pubblica (ossia con un’azionista di maggioranza quale Cdp), Tim non può detenere il controllo della newco stessa, non configurandosi come operatore wholesale only.

Anche in casa Open Fiber si ragiona sul da farsi. È conveniente, a questo punto delle cose e del percorso intrapreso (nelle aree A e B ma anche in quelle a fallimento di mercato), conferire gli asset in una newco terza “fondendoli” con quelli di Tim? Gli investitori che hanno deciso di finanziare la società sono d’accordo? Quale sarebbe il vantaggio? Francesco Starace, Ad di Enel – la società che detiene in 50% di Open Fiber al pari di Cdp – si è da sempre detto contrario agli “accrocchi” e pur dichiarando la disponibilità dell’azienda a valutare opzioni che “facciano il bene dell’ultrabroadand italiano” è tornato sulla vicenda definendo “fantascienza” le discussioni al momento in atto. E ha ribadito che Open Fiber continuerà, nel frattempo, ad andare dritta per la sua strada.

In Tim al momento tutto tace. Il neo Ad Luigi Gubitosi ha richiamato “all’ordine” la squadra e da quando si è insediato non ha rilasciato dichiarazioni né commenti a proposito del destino della rete e della società stessa. I riflettori sono tutti puntati sull’Assemblea, che farà da cartina di tornasole di umori e malumori interni. Vivendi “ha deciso di scrivere al Consiglio di Tim per spingerlo a “convocare un’Assemblea il più presto possibile per nominare i nuovi revisori, revocare cinque dei dieci membri del Consiglio riconducibili alla lista Elliott, in particolar modo coloro che sono stati coinvolti nei problemi di governance, e proporre la nomina di cinque nuovi amministratori”.

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