I dati riportati nello studio dell’Osservatorio sull’empowerment femminile di The European House – Ambrosetti parlano chiaro: il “gender pay gap” ha un impatto economico annuo fino a 11.200 miliardi di dollari nei Paesi del G20. Un divario retributivo che si attesta mediamente al 14,1% in Ue e che è variato solo in minima parte nell’ultimo decennio. In Italia il divario è ancora più ampio circa il 20% in più per gli uomini.
“Il divario di trattamento economico tra donne e uomini nel mondo del lavoro, nel nostro Paese, è davvero preoccupante, e questi dati ritraggono una situazione non più rinviabile – commenta la direttrice di Asstel, Laura Di Raimondo – Siamo, da tempo, impegnati a promuovere e valorizzare l’occupazione femminile con l’obiettivo di favorire le condizioni per permettere alle donne il raggiungimento di una giusta parità salariale e parità di carriera”.
Bisogna dunque evitare che le donne siano penalizzate sia dentro sia fuori la sfera lavorativa. “La Filiera Tlc e l’associazione sono promotori di molte iniziative: in sede di rinnovo del contratto nazionale e con l’adesione al manifesto per l’occupazione femminile promosso da Valore D, ad esempio – sottolinea Di Raimondo – Le imprese sono consapevoli dell’importanza della parità di genere per la competitività dell’Italia. Per questo siamo convinti che vadano anche implementate politiche volte ad aumentare l’accesso femminile alle materie Stem al fine di rispondere ai cambiamenti che l’innovazione tecnologica chiede al mondo del lavoro”.
L’Osservatorio sull’empowerment femminile
L’analisi di European House – Ambrosetti stima che chiudere il gender pay gap e raggiungere lo stesso tasso di occupazione tra uomini e donne potrebbe generare un impatto economico annuale fino a 11,2 trilioni di dollari nei Paesi G20 più la Spagna – pari al 14% del PIL del G20. Per raggiungere l’obiettivo del tasso di occupazione, dovrebbero essere impiegate 432,9 milioni di donne in più.
Oggi, nonostante gli sforzi compiuti da molti Paesi in questo campo, persiste nel globo una generale mancanza di meccanismi di valutazione e di accountability per quanto riguarda l’empowerment femminile. In questo contesto, l’Osservatorio, le cui attività sono state accompagnate dai Governi italiano e spagnolo, punta a misurare i progressi nel campo dell’empowerment femminile e a sistematizzare le best-practice – concentrandosi sul principio di accountability e sulla misurazione degli impatti sociali, economici e culturali.
I risultati finali del Women’s Empowerment Progress Index 2022 mostrano la Francia al primo posto, seguita da Australia e Spagna, con India, Indonesia e Arabia Saudita posizionate in fondo – anche se caratterizzate da un alto livello di dinamismo. In questo quadro, l’Italia si colloca al quinto posto con un punteggio di 90,9 su 100. Uno dei punti di forza del Paese è la quota di seggi occupati da donne nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa (pari al 38,8% contro una media del G20 più la Spagna del 25,0%), anche grazie all’attuazione della Legge Golfo-Mosca; mentre un basso tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro (54,7% contro il 59,3% medio) e una limitata quota di donne in posizioni manageriali (27,3% contro il 30,6%) rappresentano le principali criticità.
I principali risultati dello studio
L’empowerment femminile non è solo una questione politica, ma soprattutto culturale – strettamente legata a continui cambiamenti culturali e sociali e all’eliminazione degli stereotipi di genere. In questo senso una maggiore e migliore raccolta di dati nel campo dell’empowerment femminile è una priorità assoluta, poiché qualsiasi tipo di progresso deve essere supportato da dati affidabili e completi. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda il fenomeno della violenza di genere.
L’empowerment femminile è un fenomeno socioeconomico complesso che richiede l’adozione di una prospettiva intersettoriale per attuare politiche in grado di attivare cambiamenti sociali, economici e culturali di lungo termine nella società.
Inoltre la promozione dell’empowerment femminile implica l’adozione di politiche di natura collaborativa. La comunità imprenditoriale è una preziosa fonte di conoscenza e best-practice; le politiche aziendali possono quindi integrare con successo quelle pubbliche in questo campo.
Infine Le politiche pubbliche e aziendali che prevedono obblighi giuridicamente vincolanti e/o chiari meccanismi sanzionatori mostrano un grado di efficacia maggiore rispetto alle altre, instaurando un processo di evoluzione più rapido e virtuoso.
Sei passi concreti
Sulla base delle evidenze emerse, l’Osservatorio ha raccolto sei suggerimenti concreti di politiche pubbliche e best-practice da condividere:
- Definire quote di genere legislative, con chiari obiettivi da raggiungere e sanzioni in caso di mancata compliance, per promuovere la leadership e la partecipazione femminile in politica (es. Messico).
- Stabilire indicazioni e linee guida per le aziende, definendo Key Performance Indicator (KPI) e obiettivi specifici e sostenendo le aziende attraverso incentivi fiscali, per aumentare la leadership femminile nel mondo aziendale (es. Italia).
- Concentrarsi sulla cura dei figli e sulla genitorialità (e in generale sull’equilibrio tra lavoro e vita privata), adottando una prospettiva genderless che consenta una partecipazione più equa al mercato del lavoro (es. Corea del Sud).
- Promuovere l’indipendenza finanziaria delle donne abbattendo gli stereotipi, regolarizzando l’accesso formale ai finanziamenti, fornendo loro competenze finanziarie e conoscenza (es. Arabia Saudita e Indonesia).
- Aumentare la partecipazione delle donne nel campo tecnologico e digitale concentrandosi sulle discipline Stem per rafforzare il legame tra istruzione e occupazione, stimolando le assunzioni attraverso incentivi economici per le aziende (es. Germania).
- Far progredire la raccolta di dati nazionali sulla violenza di genere per valutare la risposta dei servizi pubblici e monitorare le tendenze nel tempo, con l’obiettivo di sradicare il fenomeno nel lungo termine (es. Spagna).