Google, mille nuovi posti di lavoro. Ma a che prezzo?

L’allarme dei sindacati: in Europa la net company si avvantaggia a spese delle telco

Pubblicato il 07 Mar 2011

In tempi di forti preoccupazioni sull’andamento
dell’occupazione in tutto il mondo, le mille assunzioni promesse
da Google in Europa per il 2011 rappresentano indubbiamente una
buona notizia. Ma che cosa ci dicono sul futuro delle
telecomunicazioni? Di sicuro confermano (insieme a molti altri
segnali) l’aumento della capacità dei nuovi soggetti che vivono
di servizi, applicazioni e contenuti di erodere terreno ai grandi
operatori tradizionali.

Lo spostamento sta avvenendo a ritmo impetuoso in tutto il mondo e
a spingerlo è anzitutto la proliferazione di prodotti immateriali
vendibili ovunque attraverso internet senza doversi sobbarcare i
costi necessari a costruire o anche solo a manutenere una rete
fisica. Quel che bisogna chiedersi, però, è che tipo di mercato e
di situazione occupazionale produrrà questo massiccio spostamento
del valore dai cavi (di rame o fibra ottica che siano) ai contenuti
che ci passano sopra.

Qualche risposta comincia ad arrivare, e non è esattamente
rassicurante. Del vecchio modo di fare business si sa ad esempio
che una certa quota di utili e fatturati si trasformerà mediamente
in investimenti nell’infrastruttura, così come è scontata una
ricaduta occupazionale positiva nelle fasi di crescita del mercato
nel suo complesso. Cose che sono assai meno scontate con le nuove
compagnie, la cui storia degli ultimi anni già testimonia una
scarsa propensione a reinvestire i profitti (in alcuni casi enormi)
nelle infrastrutture che li hanno resi possibili.

Si pone dunque il problema di come vecchi e nuovi operatori si
spartiranno diritti e doveri al termine del cambiamento gigantesco
iniziato già da qualche anno (“The Big Switch”, lo ha definito
lo studioso americano Nicholas Carr in un libro il cui sottotitolo
è “Ricablare il mondo da Edison a Google”).
E non c’è alcun dubbio che la situazione odierna veda i new
comers nettamente avvantaggiati sui loro concorrenti più anziani.
“Basti pensare – dice al Corriere delle Comunicazioni Maurizio
Décina, uno dei guru italiani più ascoltati sui grandi scenari
del settore – che il ritorno medio sul capitale dei tradizionali
gestori di reti di telecomunicazioni oscilla fra il 10 e il 12%,
mentre quello dei fornitori di servizi, applicazioni e contenuti è
del 23%”.

Un divario che non può essere preso alla leggera, specie se si
considera che si sviluppa proprio su quelle reti fisiche capillari
ai quali i vari Google e Facebook non contribuiscono minimamente.
C’è poi un altro aspetto oggi trascurato, che finirà per avere
anch’esso la sua importanza: il rischio che proprio all’interno
dei nuovi settori si sviluppino comportamenti sfavorevoli al
mercato e alla concorrenza. “Tutti noi – prosegue Dècina –
siamo abituati a tenere d’occhio soprattutto le grandi compagnie
di telecomunicazioni, pensando che possano muoversi in modo
scorretto. E se lo fanno vengono giustamente punite.

Ma gli altri che cosa fanno? Nei nuovi territori si stanno creando
veri e propri giardini recintati in cui ognuno lotta per imporre il
proprio prodotto come standard universale a scapito degli altri.
Vale per le piattaforme, i servizi e perfino i device fisici”.
Con le conseguenze negative che si possono immaginare sulla
libertà di scelta del cliente e sulla interoperabilità fra i
fiori dei diversi “giardini”.
I primi a esprimere preoccupazioni per questo quadro sono i
sindacati, a cui non sfuggono i rischi occupazionali connessi alle
difficoltà delle grandi telco. “Se su 10 euro che si spendono
attraverso internet – dice Alessandro Genovesi, segretario
nazionale della Slc Cgil – 9 vanno ai produttori di contenuti e
solo 1 alle compagnie di telecomunicazioni, poi non è accettabile
che i soldi per ammodernare la rete vengano presi da quell’uno
piuttosto che dai nove”.

Si pone insomma il problema di riequlibrare un po’ la situazione
in favore dei gestori tradizionali. Come? Una delle strade
possibili è quella di superare il tabù della neutralità della
rete. “Chi si collega per avere informazioni dal sito del suo
comune – dice ancora Genovesi – non può essere messo sullo
stesso piano di chi resta connesso ore e ore di seguito per
scaricare un film: al primo deve essere garantito un accesso
libero, al secondo si può anche chiedere di pagare”. Nella sua
semplicità, è un principio che può rivelarsi fondamentale per i
vecchi operatori telefonici, consentendo loro di trattenere almeno
una parte del fiume di denaro che la rete porterà sempre più ai
fornitori di contenuti.

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